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Facchetti, il ricordo del figlio Gianfelice: “Ha tutelato l’Inter sentendosi solo e ciò non è stato un bene”

Il campione nerazzurro è ancora esempio per le nuove generazioni: “Amava la Nazionale, vederla fuori dai Mondiali gli avrebbe spezzato il cuore. Avrebbe investito la ricchezza indotta dalla tv nei giovani e nelle strutture”.

Nel giorno in cui papà Giacinto, indimenticabile campione dell'Inter e della Nazionale, avrebbe compiuto 81 anni, Gianfelice Facchetti, attore e regista, si racconta in una lunga intervista a 'Il Corriere della Sera'.

"Il primo ricordo? Pieno di allegria. Estate 1977, bagni Le Focette in Versilia: io che a tre anni gioco a pallone con lui, le mie sorelle sono a caccia di bomboloni; il primo a San Siro non mi viene in mente, ma rammento un giovanissimo Bordon girare per casa, papà l'aveva preso sotto la sua ala" esordisce l'attore e regista.

Tra il campo e la scrivania uno dei numeri 3 più amati del calcio di casa nostra ha cambiato carattere, derogando a qualche aspetto educativo: "Da dirigente ha fatto più fatica a mantenere la sua tranquillità, era perdutamente innamorato dell'Inter e per tutelare il club in anni non facili ha spese molte energie, sentendosi talora molto solo e questo ha inciso sulla sua salute. Col tempo papà è cambiato molto: era stato cresciuto dal nonno con un codice di comportamento molto rigido, sua madre era scomparsa presto e gli era mancata moltissimo. Pian piano si è aperto, magari come prima risposta si chiudeva nel silenzio, poi però si imponeva di parlare e addirittura chiedeva l'opinione di noi figli".

Tra i vari colleghi calciatori del terzino di origine bergamasca è Pelè quello che ha representation un'emozione vivida: "Il mio incontro più sorprendente avvenne in Brasile nel 1987, l'Italia partecipava a una specie di Mundialito: ci andò l'intera famiglia e il giorno di Italia-Brasile al Maracanà, in albergo spunta Pelè; papà me lo presenta e io rimango impietrito, gli occhi fuori dalle orbite. Pochi i cimeli che abbiamo conservato, all'epoca non c'era l'abitudine di scambiare le maglie e alcune le ha regalate, sennò avremmo quelle di Pelè, Eusebio, Yashin, le sue icone tra gli avversari. Abbiamo tenuto l'ultimo paio di scarpini e mamma ha archiviato a sua insaputa i ritagli di giornale e le cartoline che ci mandava da ogni angolo d'Italia e di mondo".

Nel calcio di oggi ci sono dinamiche e valori che appaiono sempre più lontani: "Il calcio diventato fenomeno televisivo? Negli appunti che prendeva su foglietti sparsi scriveva che la tv ha portato una ricchezza che doveva essere reinvestita nei settori giovanili, negli impianti, nelle zone povere del Paese e del pianeta: vedeva molte opportunità inesplorate, la ricchezza perciò era infruttifera, speculativa. Oggi siamo alla resa dei conti. La Nazionale era la sua sconfinata passione: due Mondiali consecutivi da spettatori gli avrebbero spezzato il cuore. Nei confronti dell'Italia pretendeva il massimo rispetto: per noi ragazzi vedere una partita con lui era impegnativo, voleva un tifo costruttivo".

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