Dortmund – Nella storia del calcio ci sono stati tanti eroi per caso. Uno tra i più noti è il portoghese Eder, che segnò otto anni fa per il Portogallo il gol decisivo nella finale dell’Europeo di Francia, e proprio alla Francia, salvo ripiombare poi nell’anonimato dal quale veniva e dal quale non è più riemerso. La storia di Ollie Watkins, che da quasi carneade ha regalato all’Inghilterra la finale di Euro 24, sembra però un po’ diversa, se non altro per la determinazione, che il ct Southgate gli ha riconosciuto immediatamente a fine partita: “L’ho messo in campo perché sapevo quello che poteva dare e anche perché Kane, nell’azione del rigore, aveva preso una botta forte da Dumfries. La storia di Ollie, comunque, è un esempio per tutti. Finora aveva giocato solo 20’ con la Danimarca, eppure ha tenuto duro: si è sempre allenato ogni giorno con lo stesso grande impegno. Sapevo di potere contare su di lui”.
Watkins: “Chiederò i numeri della lotteria”
L’eroe in persona, che ha 28 anni e ha fatto tutta la gavetta possibile, ha peraltro dimostrato notevole autoironia: “Non avevo mai provato una sensazione del genere e me la voglio godere. Alcuni amici mi hanno detto di avere pazienza, quando ero nervoso perché non giocavo, e qualcuno mi ha predetto che avrei fatto gol. A questo punto gli chiederò di ripetermi la stessa cosa prima della finale di Berlino. O al limite di darmi i numeri della lotteria”. In effetti Watkins aveva finora 13 presenze nella nazionale inglese, con la quale ha debuttato nel 2021 senza essere stato tuttavia convocato per l’Europeo di tre anni fa. E i 3 gol segnati prima di questo non erano certamente storici: San Marino al debutto, nelle qualificazioni mondiali, poi Costa d’Avorio e Australia in amichevole: “Ho lavorato duro per arrivare qui. Non mi piace stare in panchina, questa è stata la migliore stagione della mia carriera. Aspettavo tanto questo momento. Mi è stata data l’occasione e io l’ho presa al volo. La squadra era stata molto criticata, ma adesso siamo in finale ed è l’unica cosa che conta”.
Watkins: “La mia gavetta infinita”
Con tutta l’emozione del caso, il centravanti dell’Aston Villa, squadra in cui gioca dal 2020, ha ripercorso una carriera molto particolare, cominciata nelle serie minori in Devonshire, la contea della Cornovaglia in cui è nato 28 anni fa a Newton Abbott, cittadina di nemmeno 30 mila abitanti: Exeter, Weston super-Mare, ancora Exeter e Brentford, prima dell’approdo a Birmingham, sono state le tappe della lunga scalata: “Non avrei mai pensato di giocare agli Europei per l’Inghilterra. Uno può sognare, ma io sono un tipo realista. Prendo le cose giorno per giorno, un passo alla volta. Ricordo quando ero concentrato unicamente sull’obiettivo di tornare in prima squadra all’Exeter”.
Watkins e il provino fallito
Di recente Watkins ha raccontato nel dettaglio al canale internet dell’Aston Villa il proprio percorso: “Da bambino ero sempre bravo a giocare a calcio, ma non avevo una squadra o qualcosa del genere. Un giorno, quando avevo sette anni, un mio amico venne a casa mia. Doveva andare all’allenamento e mi disse: “Perché non vieni anche tu”. Fu l’inizio di tutto, l’esordio tra i ragazzini del Newton Town, nella mia città. Mi notarono quelli dell’Exeter, ma il provino non andò subito bene. Non riuscivo a concentrarmi, ero abituato al calcio per gioco. Così mi dissero di tornare dopo sei settimane, ma i miei genitori mi suggerirono di prendermi un po’ più di tempo, di tornare a giocare con gli amici e di ripresentarmi all’Exeter quando fossi stato più convinto. In effetti ci sono tornato a 11 anni. Mi piacevano i dribbling e i trucchetti, fare passare il pallone sopra la testa degli avversari. Non mi fecero firmare subito: giocavo il sabato per la squadra del mio paese e la domenica per l’Exeter: fino ai 14 anni non è diventata una cosa davvero seria, anche se io avevo ormai in testa di fare il calciatore professionista”.
Watkins e la scuola col campo in sintetico
Quest’aspirazione condizionò anche le sue scelte di studente: “Quando lasciai la Decoy Primary School per iscrivermi alla South Dartmoor, non sapevo nulla della scuola: la scelsi semplicemente perché aveva un campo in erba sintetica e sapevo che avrei potuto allenarmi regolarmente. Nel calcio dilettantistico si gioca per vincere, ovviamente, ma non è un business: che tu vinca o perda, alla fine non conta veramente. Poi, crescendo, ti accorgi che giocare per un club professionistico è un lavoro, che ci devi pagare le bollette e che tutto va preso più sul serio. Essere partito da un club piccolo come l’Exeter City mi è stato utile: in un club più importante probabilmente mi sarei montato la testa. Anche per questo credo di essere riuscito da arrivare a giocare nell’Inghilterra: è stato un viaggio grandioso. Ci sono stati momenti in cui ero seduto in tribuna e giocavo partite da riserva. Ma sapevo che bastava l’infortunio di un compagno, bastava l’occasione da cogliere, per diventare un titolare. Io l’ho colta, mi sono trasferito al Brentford e da lì è andata avanti, fino ad allenarmi e a giocare con Kane, che per me era un modello da seguire”. Fino a sostituirlo a un passo dai supplementari con l’Olanda, a fare gol e a diventare l’eroe per caso dell’Inghilterra di Southgate.
Re Carlo: in finale cercate di vinere prima dei rigori
Re Carlo III ha scritto di persona – sui social – un augurio alla squadra per la finale, chiedendo di non lasciarlo in ansia fino all’ultimo minuto per segnare e di non finire la partita ai rigori.