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Spagna, la dieta mediterranea fa bene al calcio: l’Europeo ormai è patrimonio delle nazionali del sud

Nel nuovo secolo le furie rosse (3 volte) ma anche Italia, Grecia e Portogallo hanno invertito bruscamente una tendenza favorevole alle squadre nordiche

Esiste una specie di “dieta mediterranea” anche nel calcio, una tendenza appetitosa e nutriente che ha reso le terre del sud Europa, meglio se con affaccio sul mare o sull’oceano, le assolute padrone del calcio, almeno a livello di campionato Europeo. Il trionfo pressoché seriale della Spagna a Berlino ha confermato che, dopo Euro 2000 vinto dalla Francia all’ultimo secondo proprio contro di noi, antichi chef del sud (ma ora sappiamo solo scaldare precotti, roba da supermercato), il football mediterraneo non conosce più sconfitta. Grecia, Spagna (tre volte), Portogallo e Italia raccontano una storia che si fa sulla geografia e sa di tepore e sapore.

L’inversione di tendenza del pianeta calcio

E’ come se nel XXI secolo il pianeta calcio si fosse messo a ruotare sul proprio asse dopo decenni di opposta tendenza, quando le padrone del nostro vecchio mondo, dal 1972 al 1996, erano state Germania (tre volte), Cecoslovacchia, Francia, Olanda, e Danimarca. Sembrava un dominio quasi cromosomico, una superiorità netta che aveva ribadito, da un lato, il magistero granitico dei tedeschi, ma si era anche aperta alle innovazioni olandesi, seppur con ritardo rispetto alla rivoluzione totale degli anni Settanta (Val Basten dà la Coppa d’argento all’Olanda nel 1988, mentre Cruijff non c’era mai riuscito), e con la bizzarria dei danesi nel ‘92: precipitati nel cuore del continente un po’ come gli italiani tre anni fa, gloriosamente incongrui, ma soprattutto effimeri.

Il dominio degli stati del sud

La dieta mediterranea, che peraltro deve quasi tutto alle “tapas” iberiche sotto forma di prelibati bocconcini di calcio (ma, sommati, diventano un pranzo di nozze), segna curiosamente la stagione in cui, Wembley a parte, l’Italia sta vivendo la peggior crisi della sua lunga storia. Per noi, ormai, la dieta mediterranea è diventata un brodino da ospedale. Insomma, la Coppa dell’Europa del Sud ha preso il posto del Trofeo dell’Europa del Nord, imponendo una scuola e un ritmo che non possono dipendere soltanto dal caso. Immaginiamo come debbano sentirsi, adesso, le due principali vittime di questa dittatura del mare, cioè il commissario tecnico inglese Southgate e il centravanti Kane. Sconfitti, entrambi, in due finali consecutive da quei “terroni” di italiani e spagnoli, e per il numero 9 c’è pure la conferma di una tendenza che ormai ha l’aspetto di una maledizione: non vincere niente, mai, in nessun luogo, pur essendo il primo marcatore nella storia della sua Nazionale.

Storie di giovani talenti

E’ pur vero che il calcio contemporaneo vive di contaminazioni, e questo aspetto si esalta soprattutto nei club, dove i punti cardinali si alternano e mescolano per produrre ibridi a volte memorabili: il Real Madrid campione d’Europa si avvale della classe di alcuni avversari visti combattere a Berlino, per una volta con maglie diverse, come l’inglese Bellingham e il monumentale spagnolo Carvajal. Inglesi e spagnoli, pur essendo lontani nelle geografie, stanno vivendo quasi la stessa storia di apertura ai giovani talenti e alla tecnica pura. Ma è innegabile che proprio la scuola spagnola, espressa o dai club (Barcellona soprattutto, ma anche Real Madrid) o dalla memorabile Roja (lei stessa in cima al mondo nel 2010), abbia segnato il football contemporaneo più di ogni altra. L’epilogo di Berlino, al termine di un torneo fatto soltanto di vittorie, è un’incisione profonda nella storia del calcio, l’affermazione di una scuola che ormai ha confini sovranazionali, senza troppe barriere se non quella specie di muro eretto tra Monaco e Londra, passando per Amsterdam e Parigi: le città di una conquista che non esiste più.

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