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Inter, scudetto e Champions: cosa serve alla squadra di Inzaghi per la partita doppia

Una nuova proprietà (Oaktree) e due volti nuovi come Taremi e Zielinski che saranno molto preziosi. Per arrivare in fondo alle competizioni più importanti occorrono due cose: una rosa allargata e un’alternanza più accentuata

L’Inter viene da una stagione che due motivi hanno reso memorabile: lo scudetto numero 20, con la sospirata seconda stella, e il passaggio di proprietà dai cinesi del gruppo Suning agli americani del fondo Oaktree, nell’aria da mesi e perfezionato a fine stagione. I due fatti sono legati perché riguardano entrambi il management societario. La presidenza di Steven Zhang verrà ricordata dai tifosi come una delle più felici visti i risultati raggiunti (due scudetti, due finali europee, coppe e coppette varie), ma se la seconda fase del lungo percorso di Suning — quella del raccolto — è stata ricca il merito principale spetta alla dirigenza italiana, che ha ben gestito un club in apparenza “scosso” come un cavallo senza fantino al Palio, riducendone via via i costi senza perdere in competitività. E dunque il fantino c’era, altroché se c’era.

Marotta alla presidenza

Oaktree, al lavoro da tempo sul dossier Inter perché la difficoltà di Zhang a rifinanziare il debito contratto col fondo era evidente, ha quindi confermato in sella il management — la promozione a presidente di Beppe Marotta ha una valenza operativa ma anche simbolica — correggendo però l’intonazione del mercato.

Un mercato diverso

Sono passati i tempi in cui una nuova proprietà si presentava con un acquisto a sensazione, come fecero Ernesto Pellegrini con Rummenigge o Massimo Moratti — peraltro non subito — con Ronaldo. Oggi Oaktree blocca un ingaggio ormai vicino, quello del difensore svizzero Ricardo Rodriguez, 31enne svincolato dal Torino, a favore di un elemento più giovane non ancora scelto in via definitiva (Renan e Perkovic i profili più studiati, entrambi hanno dieci anni di meno). I soldi si spendono, anche di più rispetto alle economie forzate delle ultime stagioni, ma per giovani che aumenteranno nel tempo le loro quotazioni. La valorizzazione di Bisseck è l’esempio che fanno tutti.

Taremi e Zielinski a parametro zero

Questo significa che il mercato sviluppato a gennaio — il 32enne Taremi e il 30enne Zielinski, scritturati a scadenza — sarà l’ultimo di un certo tipo? Piano. Taremi e Zielinski sono figure preziose nell’ottica dell’instant team, la squadra allestita ai tempi di Conte che Simone Inzaghi ha mantenuto in alto malgrado le cessioni di Hakimi, Lukaku e Onana. Ma prima di vedere perché, aiutiamoci con qualche numero.

Una superiorità schiacciante

Il ventesimo scudetto è arrivato alla lontana, perché 19 punti di vantaggio sulla seconda vogliono dire campionato in cassaforte a fine febbraio. Una superiorità schiacciante, fotografata dal primato in tutte le graduatorie (punti e gol sia in casa sia in trasferta, sia all’andata sia al ritorno) e dal particolare che le due sole sconfitte siano arrivate dalla stessa rivale, il Sassuolo, squadra per di più retrocessa. Chiari incidenti di percorso. Tutto sommato, la scorsa stagione l’Inter ha giocato poco, 49 partite soltanto, contro le 57 della stagione precedente (finale di Champions); 49 contro le 57 del Manchester City, le 55 del Real Madrid, le 53 di Paris St.Germain e Bayer Leverkusen, e ricordiamo che Ligue 1 e Bundesliga sono format a 18 squadre. Sommer a parte, soltanto Mkhitaryan (3526) e Barella (3503) hanno passato la soglia dei 3500 minuti stagionali. Rodri e Valverde, per dire, sono ben sopra 4000.

Rosa allargata e maggiore alternanza

La stagione che inizia sabato 17 con Genoa-Inter (subito uno dei pochi match in cui i nerazzurri l’anno scorso lasciarono dei punti) ha tutt’altro potenziale di gare: la massima proiezione, quella in cui si arriva fino in fondo in tutte le competizioni — c’è la novità del Mondiale per club di giugno e luglio — parla di 67/69 match. Non saranno così tanti, ma un rendimento ovunque discreto avvicinerebbe la fettuccia delle 60 partite, e dunque a Inzaghi occorrono due cose: una rosa allargata, e un’alternanza più accentuata. Zielinski e Taremi sostituiscono Klaassen e Sanchez migliorando molto le due posizioni, almeno sulla carta, e dunque iscrivendosi a un turnover da 2000 minuti almeno (l’anno scorso Klaassen 352’ e Sanchez 1110’). E ferma restando la titolarità a centrocampo del terzetto Calhanoglu-Barella-Mkhitaryan, perché il reparto mantenga sempre la sua freschezza saranno necessari i balzi (non i passi) in avanti da parte di Asslani (1065’) e soprattutto Frattesi (1554’).

All’Europeo Under 19 dello scorso luglio è stato apprezzato molto Luca Di Maggio — selezionato nell’undici ideale del torneo — centrocampista incursore del 2005 che radio mercato prevede in prestito in terza serie. Trattenerlo con la prima squadra almeno fino a gennaio potrebbe invece essere una buona idea, a patto ovviamente di disporre per lui un po’ di spazio. L’anno scorso l’Inter si è trovata per quindici volte avanti di due gol al 70’: la situazione ideale, né ansiosa né scontata, per consentire a un ragazzo di fare esperienza.

La crescita di Inzaghi

L’anno scorso Thierry Henry, uno degli analisti più stimati a livello europeo, tenne su Sky UK una masterclass sul gioco di Inzaghi esaltandone l’attacco con due punte centrali — Lautaro e Thuram sono una grande coppia — e la particolare capacità di Simone di interpretare le sfide andata/ritorno, citando infine le molteplici difficoltà proposte a Guardiola nella finale di Istanbul. Come a volte succede, il riconoscimento dall’estero — scevro quindi dai sospetti di tifo — ha finito di convincere tutti di quanto sia cresciuto quest’allenatore che ha la stabilità nel proprio dna: dopo cinque stagioni piene alla Lazio, inizia ora la quarta all’Inter. L’ovvio traguardo che si pone, dopo una finale di Champions e uno scudetto in solitaria, è il perseguimento di entrambi gli obiettivi.

Chiesa uomo in più?

Due anni fa il bilancio delle gare di campionato prima e dopo la Champions fu di 9 vittorie, 1 pareggio e 9 sconfitte (e l’Inter chiuse la A quarta); l’anno scorso fu di 13 vittorie e 3 pareggi (e in Champions uscì agli ottavi). Trasparente quindi l’intento di privilegiare lo scudetto, espresso attraverso l’uso dei titolari. Occorre un riequilibrio, e forse un uomo in più, uno in grado di cambiare le dinamiche offensive quando necessario: da qui a fine mese, il nome di Federico Chiesa ricorrerà spesso.

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