Nella prima notte di Antonio Conte le luci di Fuorigrotta si accendono sulla faccia chiusa sui suoi più oscuri presentimenti, su quelle di cinquantamila napoletani passati da una giustificata euforia a misurate perplessità su una squadra che è poco più di un terminal di aeroporto. Se quattro titolari sono dati in arrivo e quasi tutti quelli della panchina in partenza.
Raspadori ansima subito, forse perché sente l’emozione di chi gioca per tre, per sé e per due fantasmi. Chissà che pensa quando spiovono cross banali mancandogli peso e centimetri per svettare.
Non ha chiarito le idee sul suo ruolo nella squadra se ha sentito le dichiarazioni di Giovanni Manna, il nuovo manager che nell’ansia di non dire nulla annuncia in tv che “Lukaku è un giocatore del Chelsea”, quindi non del Napoli, che però “Victor Osimhen è nella rosa”, trascurando il dettaglio che non sia finora entrato in squadra neanche per un secondo dopo una cinquantina di energici allenamenti, ammette tuttavia che “vuole andare via”, trascura poi che non trovi più uno strapuntino neanche sul bus del Napoli.
È tornato in taxi pagato dalla società, dall’Abruzzo a casa, senza apparire nello stadio dei suoi ultimi 65 gol in 108 gare, ma dove si è parlato tanto, troppo di lui.
Mai così rimpianti i suoi voli al settimo cielo per girare con quel testone biondo i cross morbidi dello stesso Di Lorenzo, che sospinto dalle consuetudini continua ad infilarsi sulla fascia destra, trascurando la sua funzione di braccetto alternandosi con Mazzocchi che da esterno alto tenta delle incursioni, eleggendo così la corsia destra la preferita dal Napoli per operare.
Non si sente limitato Politano che si accentra, ma tutta la fase offensiva non trae profitto dal 73% di possesso palla nel primo tempo. In parallelo si fa notare a sinistra Kvara.
Il giudizio di Conte è raccontato dalla faccia: sempre più buia, evidente la sua tensione, anche perché il Modena di Bisoli crea un muro granitico, e può farlo perché per una lunga fase gioca con una sola punta, Gliozzi, sapendo di impegnare una difesa a tre.
La superiorità numerica consente soprattutto a Palumbo, napoletano di Scampia, di rendersi pericoloso, con una sassata all’incrocio dei pali sfiora il colpo della vita.
Perché la rivoluzione di Conte stenta ad apparire?
Il divario tra il terzetto difensivo e lo smilzo attacco del Modena è già un tema, con il passare dei minuti è chiaro anche il disagio di Anguissa ancora appannato, il suo lavoro è troppo simile quasi in parallelo e non complementare con quello di Lobotka, attivissimo ma non il play che si ricorda, al centro del terzetto di mediani, come si ricorderà nel 4-3-3 dei bei tempi, ma Conte ha tutto il tempo per migliorare i meccanismi.
La produzione autentica del gioco, non basta pensare che manchi il bomber, va cercato un equilibrio che eviti anche di subire i contropiede, insidiosi di un Modena più debole e bene organizzato.
Calma, alla fine Conte sa come ribaltare la scena.