PARIGI — Lo sport più popolare in Ucraina era e resta il calcio. Per la prima volta la nazionale di Kiev è riuscita a qualificarsi per le Olimpiadi. Tre partite, una vittoria col Marocco e due sconfitte con Iraq e Argentina l’hanno subito estromessa dal torneo. La vera missione però era quella di dimostrare che nonostante l’invasione russa e la guerra, il pallone ucraino non ha smesso di esistere e di regalare al suo martoriato popolo momenti di non trascurabile felicità. Vladyslav Veleten, 21 anni, centrocampista della nazionale U23 e del Kolos Kovalivka ha vissuto l’esperienza olimpica con le ferite della guerra sulla pelle.
Un soldato e un calciatore.
«Ho prestato servizio nelle forze di difesa ucraine per 7 mesi. La nostra base era vicino a Kramatorsk. All’inizio dell’invasione russa, la nostra brigata di difesa territoriale era di stanza a Kiev. Poi, all’inizio dell’estate 2022, abbiamo fatto un mese di addestramento. Successivamente, la nostra brigata è stata integrata nelle forze armate ucraine e inviata a combattere nella regione di Donetsk, quella in cui i combattimenti con i russi erano più cruenti. Abbiamo visto l’inferno».
Com’era la vita prima del 24 febbraio 2022?«Spensierata. Quando non sai cos’è la guerra, quando non la vivi da testimone diretto, la vita sembra diversa. Con l’inizio dell’invasione russa, quando sono entrato nelle forze armate, ho iniziato ad apprezzare di più le persone intorno a me, la mia famiglia, gli amici. Ti rendi conto quando rischi di perderli da un momento all’altro che sono la cosa più importante».
Com’è nata la sua passione per il calcio?«Sono originario di Kiev e ho vissuto lì per tutta la vita. Ho iniziato a giocare all’età di 9 anni e a 13 sono entrato nel settore giovanile della Dynamo. A 14 anni ho firmato il mio primo contratto. Dopo aver compiuto 19 anni sono passato al Kolos. Provengo da una famiglia normale: mia madre lavora come contabile e mio padre è in polizia. Ho anche un fratello minore che gioca a calcio. E ho vissuto un anno fa la soddisfazione di contribuire a portare per la prima volta il calcio ucraino ai Giochi».
Ha un idolo calcistico?«Cristiano Ronaldo. È un calciatore che si è costruito da solo nel tempo. Ammiro la sua mentalità, la sua costante fame di vittoria, nonostante abbia già vinto tutto. E alla sua età è ancora in una forma incredibile».
L’Olimpiade è stata un’occasione su vasta scala per ricordare al mondo il martirio del vostro popolo.«La nostra partecipazione alle Olimpiadi era un’opportunità per ricordare al mondo la guerra in Ucraina e la nostra lotta contro la Russia. Ci ricorda che a casa nostra quasi ogni giorno muoiono uomini, donne e bambini. Tutti hanno l’opportunità di aiutarci finanziariamente, e dovrebbero farlo».
E lo sport cosa può fare per la causa ucraina?«Lo sport è una missione per ognuno di noi. Se guadagni soldi con lo sport puoi aiutare finanziariamente l’esercito. Ma, mentre fai sport davanti a una platea globale, puoi trasmettere messaggi importanti. Tutti possono rendersi conto, anche vedendo una semplice partita di calcio o una gara di atletica, che la guerra continua e che l’Ucraina ha bisogno di aiuto».
Cosa pensa di Putin e della Russia?«La Russia è un invasore che ci ha attaccato deliberatamente. Bombardano le nostre città ogni giorno, uccidendo persone e bambini. Però ricordate sempre che questa guerra non è tra la Russia e l’Ucraina, ma tra la Russia e tutta l’Europa, contro l’intero mondo civile».
Crede sia stato giusto da parte del Cio escludere la Russia e la Bielorussia dai Giochi con le loro bandiere e non permettere agli atleti più vicini ai due regimi di partecipare alle gare?«Sì, nel modo più assoluto. Il mondo intero, e anche lo sport per quel che può, deve fare di tutto affinché la guerra finisca. La Russia deve lasciare immediatamente il nostro territorio, senza condizioni».
Ha ancora speranza nel futuro?«Ho la speranza che la guerra finisca nel più breve tempo possibile e che persone e bambini non muoiano più ogni giorno. Calcisticamente, mi piacerebbe giocare in un grande campionato europeo, magari in Italia. Ho tanti sogni ancora, la guerra non è riuscita a spegnerli».