Non ce ne vogliano i lavoratori che da un giorno all’altro – dopo una vita passata in fabbrica o in ufficio – sono rimasti senza stipendio e senza pensione. Ma anche nella Serie A che sta per iniziare ci sono “salariati” che si ritrovano – dopo essere stati osannati come idoli delle curve e beniamini della tifoseria – in una terra di nessuno.
Siccome – qualche volta – anche i ricchi piangono, mai come in questa stagione c’è un numero così alto di calciatori alle dipendenze di club italiani che si trovano sospesi tra la panchina, tribuna o campionato saudita. I casi più eclatanti rispondono al nome di Federico Chiesa e Paulo Dybala. Ma anche uno come Victor Osimhen, più giovane e più corteggiato dello juventino e del romanista, vive in un clima da guerra dei Roses con il vulcanico presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis.
Ma i tre attaccanti citati sono la punta dell’icerberg. Perché alla fine, magari tagliandosi l’ingaggio una sistemazione entro fine agosto la troveranno. Dietro di loro, c’è un piccolo esercito di calciatori di medio livello che si sono scoperti indesiderati: più di uno – a pochi giorni dalla prima giornata di campionato – è destinato ad allenarsi da solo o con la Primavera.
Sono stati messi in vendita dalla società con cui sono sotto contratto e sono in attesa di ricevere un’offerta che non arriva, paradossalmente a causa del ricco stipendio che avevano strappato solo un paio di anni fa. Sono gli “esodati” di quello che fino a una quindicina di anni fa era il campionato più bello – e più ambito – del mondo.
Ma ora non lo è più. La Serie A può permettersi i campioni solo a fine carriera (come dimostrano i casi Cristiano Ronaldo e Olivier Giroud). Oppure calciatori di primo piano ma solo prenotandoli prima della scadenza di contratto, attirandoli con un ricco ingaggio e con consistente percentuale al procuratore.
Ma l’ingaggio, quando è troppo alto, diventa una prigione, perché è poi difficile trovare un club disposto sia a pagare il cartellino che uno stipendio molto oneroso. Molti giocatori in esubero hanno il contratto in scadenza nel giugno del 2025. E molti di loro potrebbero, con tutta probabilità, aspettare i prossimi dieci mesi per liberarsi e accasarsi altrove. Sperando che i muscoli non si arrugginiscano e ricominciando da capo, ma con un ingaggio molto più basso.
Una possibile alternativa – ma non per tutti, anzi – è accettare le sirene del campionato dell’Arabia Saudita: un ricco buen ritiro, dove si gioca a ritmi da sfida in spiaggia con gli amici, l’equivalente del prepensionamento sportivo.
Esuberi, un patrimonio di 230 milioni
Soltanto prendendo in considerazione sette degli otto club qualificati per le competizione Uefa della prossima stagione, ci sono almeno 35 giocatori di buon livello a cui è stato dato il benservito e che sulla carta (secondo il sito specializzato Transfermarkt) valgono complessivamente 230 milioni di euro. E’ la cifra che i club di appartenenza sperano di portare a casa. Ma sarà molto difficile.
Secondo la Gazzetta dello sport, per arrivare a Pierre Kalulu del Milan, la Juventus – che ha ben dieci giocatori da piazzare – avrebbe tentato uno scambio mettendo sul tavolo Chiesa ma anche Milik e McKennie. Ma solo l’attaccante polacco potrebbe interessare ai rossoneri che cercano un vice Morata.
Lo stesso succede nella Capitale, dove mister De Rossi ha fatto capire che molti tesserati della Roma sono sul mercato. Dybala tra i primi, per via del suo contratto quanto mai oneroso, tanto da avere offerte concrete solo dall’Arabia. Ma se la trattativa non dovesse chiudersi per la prima di campionato con il Cagliari l’argentino potrebbe finire in tribuna. Giusto perché si capisca l’aria che tira.
Il Milan non è da meno. Due giocatori fuori rosa (Origi e Balo-Tourée), altri che potrebbero servire per finanziare l’ultimo colpo di mercato (Youssouf Fofana del Monaco): si va da Adli a Bennacer (entrambi richiesti tanto per cambiare in Arabia) per arrivare a Kalulu e Pobega. Anche perché il nuovo coach Paulo Fonseca non teme gli esuberi. Ha scoperto che l’anno a Bologna alle direttive di Thiago Motta ha fatto molto bene ad Alexis Saelemaekers e ora può coprire tutti i ruoli sulla fascia destra. E ha trovato alcuni talenti dalla Primavera (Zeroli e Liberali, Camarda e Jimenez) che come riserve della prima squadra valgono molto e costano poco.
Persino l’Inter dei due scudetti e una finale in Champions in quattro anni ha i suoi esodati: almeno sei giocatori hanno le valigie in mano o sono paragonabili alle figurine per qualche scambio.
La Serie A sempre più distante dalla Premier
Ma perché accade tutto questo? Succede in una Serie A che non solo è sempre più lontana anni luce, per entrate finanziarie e per numero di appassionati nel mondo, dalla Premier League. Ma è stata ormai superata per spettacolarità del gioco e talenti dalla Liga spagnola (con un movimento che in poco più di un mese ha vinto Europei e Olimpiadi).
Così come è finita alle spalle, per ricavi, efficienza economica e innovazione sportiva della Bundesliga, da dove arrivano le idee tecniche più interessanti che – da Jurgen Klopp a Thomas Tuchel rappresentano la nouvelle vague del calcio europeo.
E poco importa se nel ranking Uefa, i club italiani nell’ultima stagione sono tornati – per pochi punti – in seconda posizione, alle spalle dei soli club inglesi. Guadagnandosi il diritto a schierare cinque club in Champions League. Non illudiamoci: questo è dovuto all’ingresso in massa di fondi di investimento – per lo più americani – che hanno chiuso la stagione dei magnati alla Berlusconi/Moratti, i quali buttavano ogni anno un centinaio di milioni per giocarsela con i grandi d’Europa.
Ma i fondi d investimento sono investitori che non hanno come primo obiettivo vincere, ma far quadrare i conti e possibilmente guadagnare. E come L’Altra domenica ha raccontato, sono stati attratti dalla popolarità di cui gode ancora il calcio in Italia, dai bassi costi di ingresso e dalla possibilità – in molti casi – di un investimento immobiliare legato al nuovo stadio.
Tagliare i costi per non fallire
Per iniziare a guadagnare, come prima cosa, bisogna tagliare i costi. A cominciare dagli ingaggi: soprattutto se rapportati ai risultati sportivi appaiono oramai completamente fuori misura. Lo richiede una sana gestione economica, ma lo impongono le nuove regole Uefa. Per cui è meglio liberarsi di campioni o presunti tali che non hanno reso quanto ci si aspettava e investire sui giovani. O comunque ricominciare da capo.
Si diceva che lo chiede una sana gestione finanziaria. La Serie A è a un punto di non ritorno. Basta leggere l’ultima edizione del ReportCalcio, redatto da Centro Studi Figc con Arel e la società di consulenza Pwc. Le perdite accumulate negli ultimi sedici anni sono arrivate a 8,5 miliardi, di cui 3,6 nelle tre stagioni inficiate dal Covid (con una media di 3,3 milioni di perdite al giorno).
In questi sedici anni è vero che il valore della produzione del calcio professionistico è salito dell’84% (+1,9 miliardi), ma i costi di produzione sono contemporaneamente saliti di 2,4 miliardi (ogni euro di ricavi prodotti in più è costato 1,3 euro). Eccoci, allora, al punto nodale: la voce più consistente dei costi è legata al “personale”: il 62% della crescita del fatturato è dovuto agli stipendi, saliti nel periodo di 1,2 miliardi.
E come è stato possibile sostenere questi conti, senza fallire? Semplicemente aumentando i debiti. Negli ultimi sedici anni, l’esposizione finanziaria è passata dai 2,4 miliardi del 2007-2008 ai 4,8 miliardi del 2018-2019, per crescere fino ai € 5,7 miliardi del 2022-2023, Allo stesso tempo, il patrimonio netto tra pre e post Covid si è quasi dimezzato, da 644 a 344 milioni di euro (e in Serie B e Serie C risulta addirittura negativo), In pratica, ogni 100 euro investiti da un club di calcio, appena 5 provengono dai mezzi propri (cioè dagli azionisti/proprietari), e i restanti 95 da capitali di terzi (per lo più indebitamento).
Le nuove regole Uefa: lo squad cost ratio
Una situazione insostenibile che non riguarda solo la Serie A, con troppi campionati che sopravvivono solo grazie alla vendita dei diritti tv. Al punto che l’Uefa ha dovuto arrendersi al fatto che il solo financial fair play non è bastato per una sana gestione finanziaria del mondo del pallone. Introducendo una nuova variabile che risponde al nome di “squad cost ratio”.
Di cosa si tratta? Sostanzialmente, parliamo del rapporto fra costi e ricavi della società. I primi, dall’anno scorso, non possono superare il 90% dei secondi. Ma già da questa stagione i costi devono scendere ulteriormente: entro i prossimi due anni non potranno andare oltre il 70% dei ricavi.
E siccome abbiamo detto con la voce più alta dei costi è rappresentata dagli stipendi, è evidente che il parco giocatori è la prima voce a cui mettere mano. Ma nulla accade per caso. Ed è bene che i club italiani si mettano in riga perché i segnali di allarme ci sono tutti.
I grandi club continuano a spendere per la rosa, anche perché non possono permettersi di non arrivare in zona Champions: così negli ultimi cinque anni, secondo una dato Transfermarkt, nel tentativo di rinforzare la squadra la Juve ha speso 651 milioni, il Napoli 417, l’Atalanta 402 e il Milan 364. Non è un caso che il Milan sia il club che per primo ha impostato una nuova politica economica, per cui le società devono “autofinanziarsi”.
Le difficoltà dei club a far quadrare i conti è solo il sintomo più evidente della crisi del calcio italiano, che in molti continuano a far finta di non vedere. La mancanza di risultati sia a livello di Nazionale (non raggiunge gli ottavi di finale da quattro edizioni dei mondiali, Europeo 2021 una meteora), sia a livello di club (cinque finali perse delle ultime sei) si riflette soprattutto sulle società di prima fascia. Le stesse che hanno vinto tutti gli scudetti degli ultimi 23 anni.
I club della Top Five perdono tifosi
Stiamo parlando di Juventus, Inter, Milan, Napoli e Roma. E’ la top five della serie A per numero di tifosi. Nelle ultime stagioni, il fatto di aver perso terreno in Europa ha avuto le sue conseguenze. Il numero dei loro “appassionati”, quelli che seguono assiduamente le notizie che le riguarda e non si perdono una partita fosse una amichevole precampionato, è in discesa. Lo rivela l’annuale ricerca condotta da Sponsor Value, Stage Up e Ipsos che per tradizione viene presentata a inizio campionato.
“Nel 2018-19, il fenomeno tifo riguardava il 77% degli interessati al Campionato, con una quota dei cinque maggiori club dell’88%. Al termine della stagione 2023-24, il tifo riguarda l’86% degli interessati alla Serie A, mentre i tifosi delle prime cinque squadre sono scesi all’80% del totale”.
Questo perché, allo stesso tempo, sono aumentati i tifosi appassionati del club meno titolati. Lo si vede bene dai dati scorporati. Juventus (+1%) e Inter (+2%) e Roma (nessuna variazione) rimangono stabili nella loro fan base, rispettivamente con 7,8, 4,02 e 1,8 milioni di tifosi appassionati. Il calo complessivo è stato determinato da chi ha smesso di seguire con costanza il Milan (-3% a 3,8 milioni) e il Napoli (-4% a 1,8 milioni).
Non sarà sfuggito ai più attenti un ricambio al vertice, con l’Inter che – già da due anni – ha superato il Milan per numero di tifosi appassionati grazie ai campionati di vertice e alla finale di Champions. I rossoneri rimangono i più seguiti a livello globale tra i club italiani, ma senza una inversione di tendenza nelle vittorie (una finale Champions manca da 21 anni) gli rimarrà appiccicato il fascino della grande nobile decaduta.
Aumentano i tifosi dei “piccoli” club
La difficoltà delle Top Five si misura anche nella crescita delle tifoserie dei piccoli club. Il Bologna con il ritorno in Champions ha visto anche il ritorno allo stadio degli appassionati (+47% a 389mila), mentre è notevole anche la crescita di Atalanta (+18% a 327mila), Fiorentina (+14% a 639mila), Verona (+16% a 195mila).
Le prime due si sono confermate in Europa, i bergamaschi hanno trionfato in Europa League. Gli scaligeri sono stati protagonisti di una clamorosa rimonta per la salvezza. Segno che i tifosi vogliono vedere la passione in campo e vivere emozioni sugli spalti o davanti alla tv. Cosa che i Top Five ancora in fase di transizione dal proprietario mecenate alla gestione dei fondi di investimento non sanno più garantire.
Ma non è detto che rimettendosi a posto finanziariamente, ricominciando con i giovani, affidando ad allenatori che mostrino un gioco più europeo non sia la strada per riconciliarsi con i tifosi. Anche a costo di qualche “esodato” eccellente.