Un breve video rivelatore gira sui social da giovedì notte. L’ha postato uno dei tanti romanisti entusiasti corsi sotto la casa di Paulo Dybala per festeggiare il no ai sauditi, e vede le sagome scure del giocatore e della moglie Oriana dietro a una vetrata, intente a godersi la gioia popolare. Succede allora che un tifoso gridi “grazie Oriana”, immaginando il ruolo da lei svolto nel dietrofront, e la moglie di Paulo agiti più volte il pugno, esultando come se avesse segnato un gol. Il video spiega in quattro secondi uno dei motivi più importanti della scelta di Dybala. Non è l’unico e non è dipeso soltanto da lui, decisioni di questa portata non si prendono mai per una sola ragione. Però il campionato saudita, che l’anno scorso sembrava in procinto di sbaragliare qualsiasi altra lega, quest’estate è quasi sparito dai radar, e quando ancora esprime offerte fiabesche come quella pervenuta all’argentino della Roma si sente rispondere no. Il suo problema è che le mogli dei giocatori si parlano, e vivere rinchiusi in un compound — per quanto lussuosissimo — alla lunga cancella gli altri benefit. E poi è un torneo che a dispetto degli enormi investimenti non ha bucato lo schermo: non lo guarda nessuno, in Europa arrivano solo i video di Ronaldo rabbioso con i compagni scarsi. Ci vai se non hai più nulla da chiedere al mestiere, a parte i soldi.
Dybala invece è ancora pieno di desideri. Ha 30 anni, la terza età calcistica è ancora distante, e il minutaggio raccolto nelle ultime tre stagioni (2600’ circa) è costante e vale 29 partite complete. Più del percepito, che si spiega con la tendenza a sparire sul più bello; ma la fragilità sbandierata è superiore alla realtà. Paulo è un campione che si affeziona. Ha pianto quando la Juve l’ha lasciato andare, e senza contratto non poteva farci niente; ha pianto perché anche la Roma lo stava mollando, ma stavolta un asso in tasca l’aveva, l’anno residuo di contratto, e alla prima frenata del club, insoddisfatto della magra offerta saudita per il cartellino, l’ha fatto valere. Non è in discussione il fatto che l’amore popolare l’abbia ispirato: è dall’inizio di questa storia che la postura di Paulo era riluttante, lo stesso sì infine pronunciato — in mattinata aveva svuotato l’armadietto — era stato in qualche modo recalcitrante. E se vedi così l’inizio di un’avventura che ti porterà fra i 60 e i 75 milioni, non ci sono dubbi che andasse archiviata prima di cominciarla.
Le conseguenze dell’amore saranno a carico della Roma? La palla si sposta nel campo di Daniele De Rossi, al quale la società deve ora garantire l’utilizzo pieno di quello che rimane il suo giocatore migliore. Spalmando per esempio su due stagioni quel minaccioso rinnovo in caso di 14 presenze di almeno 45 minuti, una clausola che va eliminata perché mette troppo in difficoltà l’allenatore. Si può appendere alla quantità di maglie il riscatto di un giovane: se si rivela bravo gioca, se gioca lo acquisto. Un campione del mondo che ha già vinto cinque scudetti va trattato diversamente: due anni fa all’Atletico Madrid ci fu il caso di Griezmann, impiegabile soltanto 30 minuti a gara per evitare di doverlo pagare al Barcellona. Dopo un paio di mesi Simeone, che nell’utilizzare il suo attaccante col cronometro stava uscendo pazzo, ottenne un accordo su basi definitive che lo sollevò dal problema. Una soluzione analoga è necessaria anche per disperdere l’enorme non detto di queste settimane, ovvero il desiderio di Champions dell’argentino a giugno e la recente determinazione della società a liberarsene. La conclusione del caso ha prodotto una formidabile ondata di entusiasmo che va canalizzata e sfruttata. C’è un’energia nuova nell’aria, e la gara di domani con l’Empoli sarà la prima occasione di scatenarla.
La scorsa stagione De Rossi è stato eccellente per quattro mesi, dalle tre vittorie di fila che gli permisero di assorbire il rimpianto popolare per Mourinho (rimpianto di leadership e non certo tecnico) all’eliminazione del Milan nei quarti di Europa League. In quel momento la Roma era quinta — piazzamento che se mantenuto sarebbe bastato per la Champions — ma senza più benzina, e l’ultimo mese è stato un calvario. Per questo oggi vuole allargare la rosa, per questo Soulé e Dybala non vanno vissuti come doppioni, ma portatori di un progetto tattico diverso — più albero di Natale, con Matias che dribbla creando superiorità di cui gode Paulo — col possente Dovbyk a trasformare in gol tutto ciò (e può essere tanto) che passa per l’area piccola. Dietro occorre certamente un difensore centrale (Danso buon nome), mentre sull’aspirazione a due terzini destri occorre una riflessione. Mattia Mannini, 2006 della Primavera, è stato scelto in quella casella della formazione ideale dell’Euro Under 19. Per cui ci vuole un terzino destro — uno — che può essere Assignon, ma se ti chiami De Rossi alle sue spalle devi prevedere la crescita di un giovane talentuoso. Perché sei Daniele. Perché sei il figlio di Alberto.