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Sven Goran Eriksson è morto: lo scudetto con la Lazio e il suo commovente addio

Aveva 76 anni. Nell’ultimo anno ha salutato il mondo del calcio dopo aver scoperto un tumore incurabile

I sette trofei con la Lazio più forte di sempre, il gioco tutto all’attacco con la Roma e il Benfica, la classe sulla panchina dell’Inghilterra. Una vita piena di tutto, ma di Sven Goran Eriksson ricorderemo soprattutto il finale. Questi lunghi mesi con addosso la consapevolezza dell’addio. Quella confessione che ha messo in ginocchio il mondo. Era gennaio e in un video disse: “È stato il mio ultimo Natale”. Quella confessione che ha commosso tutti, perché l’uomo è stato amato più dell’allenatore. Ha trasformato, Eriksson, i suoi ultimi mesi di vita in una sorta di lunghissima missione, un messaggero speciale: “Prendetevi cura della vostra vita”.

Eriksson e il tumore

Consapevole del privilegio di aver vissuto una vita meravigliosa, per lui “un viaggio bellissimo”. Sven aveva sempre saputo che la vita, come una stagione calcistica, è fatta di momenti di gloria e di sfide insormontabili. Il cancro al pancreas, implacabile, è stato l’ultimo avversario. Eppure, anche di fronte a questa malattia, l’allenatore-gentiluomo non aveva perso la sua leggendaria compostezza. “Ho avuto una bella vita,” confidava a chi gli era vicino, con un sorriso che tradiva una serenità conquistata con fatica. “Forse troppo bella”.

Eriksson e l’aneddoto del gatto nero

Era ottimista, Sven. Ed era un nemico giurato della negatività, quella che spesso il calcio a Roma porta persino dentro lo spogliatoio. Una volta un gatto nero tagliò la strada del pullman della squadra verso lo stadio. Tanti, in quel momento, chiesero di cambiare strada, ostaggi della scaramanzia. Eriksson impose invece di andare comunque: “Basta con questa negatività. Siamo forti, vinciamo”: Andò esattamente così.

Eriksson, un giramondo dal carattere deciso

Pacatissimo, elegante. Ma capace di farsi rispettare come una straordinaria guida. Una settimana prima dello scudetto vinto con la Lazio, il punto più alto di una carriera partita dalla Svezia e passata per il Portogallo, l’Inghilterra, persino la Cina, Eriksson tirò fuori la sua straordinaria capacità di gestire il gruppo quando Boksic nello spogliatoio si lamentò della maglia troppo stretta. “Alain, stai fuori, resti in panchina”. Non era il momento per i capricci e quando era necessario sapeva alzare la voce. Anche se quello storico scudetto laziale lo vinse gestendo con ordine assoluto un gruppo pieno di campioni, di personalità ingombranti, di caratteri esplosivi, in cui le liti in allenamento erano all’ordine del giorno. “La migliore squadra che abbia mai allenato”.

Eriksson e la condivisione della malattia

Negli ultimi mesi, Eriksson aveva deciso di condividere la sua storia, non per suscitare pietà, ma per lasciare un messaggio di speranza e resilienza. Le telecamere lo avevano seguito, catturando le sue riflessioni su un’esistenza trascorsa tra campi da calcio, spogliatoi e la costante ricerca della perfezione tattica. “Non abbiate rimpianti per me,” diceva, “Sorridete, e ricordatevi di vivere la vostra vita appieno.”

Eriksson e l’Inghilterra delle stelle

Mentre il mondo del calcio si preparava a dirgli addio, i ricordi di una carriera straordinaria cominciavano a risuonare sotto forma di messaggi, arrivati da tutto il mondo. Eriksson è stato un pioniere, un uomo che ha avuto il coraggio di sfidare le convenzioni, come quando accettò di diventare il primo allenatore straniero alla guida dell’Inghilterra. L’Olimpico laziale lo salutò come un eroe, nonostante l’addio alla squadra che lui e Cragnotti avevano reso grande, grandissima. Con David Beckham e Steven Gerrard, però, non riuscì a toccare quelle vette di eleganza stilistica e organizzazione tattica. Pensare che quando arrivò in Italia, alla Roma, il suo calcio era gioco spettacolare e aggressivo, a volte fin troppo. Per vincere ha saputo cambiare, ha saputo capire che a volte è più importante gestire. Con Beckham però si era instaurato un rapporto saldissimo testimoniato da una visita a sorpresa, quando il campione volò da lui con una bottiglia di vino del 1948, l’anno in cui Eriksson era nato. Un gesto di affetto che testimoniava il legame profondo che l’allenatore aveva saputo costruire con i suoi giocatori, non solo come guida, ma come uomo.

Eriksson amato dai tifosi di Lazio e Samp

L’Italia in effetti è stata la sua vera casa. Qui Eriksson aveva trovato il palcoscenico perfetto per esprimere la sua visione del calcio. La Lazio, in particolare, era stata la squadra che lo aveva condotto nell’Olimpo dei grandi allenatori. Nel 2000, con una squadra forgiata dal sudore e dall’ingegno, aveva conquistato lo scudetto, regalando ai tifosi biancocelesti un sogno che avrebbero custodito per sempre. È l’allenatore più vincente della Lazio, il più amato dopo Maestrelli. E come dimenticare la Sampdoria? Negli anni in cui aveva guidato i blucerchiati, Eriksson aveva dato vita a un gruppo capace di sfidare le grandi potenze del calcio italiano, con il suo stile inconfondibile fatto di disciplina e intuizione. Lo scudetto indimenticabile della Lazio. Una vita in copertina, un’eleganza che emergeva dallo sguardo intelligente, dai movimenti lenti, da una attenzione straordinaria alla forma. Grazie di cuore, Sven.

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