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Il bolognese Joey Saputo, tutto stadio, casa e chiesa: “Il difficile viene adesso”

Martedì riceverà la cittadinanza onoraria a Palazzo d’Accursio. Che vita fa sotto le due torri il presidente rossoblù tra sport, famiglia, buon vino

È l’unico forestiero che è riuscito a dimagrire venendo a vivere qui. Stranino. Ma da buon bolognese quale ormai ora è diventato anche Joey Saputo – a certificare la cittadinanza che gli verrà conferita ad honorem domani pomeriggio – si lamenta spesso con gli amici che Bologna non è più quella di una volta. Quella di dieci anni fa quando mise piede per la prima volta sotto le Due Torri da proprietario del Bfc o ancor prima, nel 2010, quando sbarcò per ingaggiare Di Vaio, al tempo attaccante, per i suoi Montreal Impact e la neve lo fece sentire subito a casa. Ora che, sessantenne, da più di un anno risiede per lunghi periodi in pieno centro, in un vicolo laterale di via Oberdan, ha notato che la città di cui è innamorato sta diventando sempre più sporca, caotica e disordinata. Bolognesissimo, sì.

Da qualche giorno sta provando il discorso di ringraziamento da pronunciare domani a Palazzo d’Accursio: gli secca terribilmente sbagliare gli accenti nella lingua dei suoi avi, imparata in casa ma mai studiata sui libri, anche se i progressi in questi anni sono stati notevoli e non ha più quell’aria sempre spaesata da “dove sono finito”. È uno dei motivi – oltre al low profile genetico e al dogma che delle cose del campo devono parlare solo i tecnici – per cui schiva sempre di più le interviste e le occasioni pubbliche. Basti dire, che nonostante la Champions da vantare anche come primo vero successo imprenditoriale tutto suo in famiglia, da maggio ha concesso solo una breve chiacchiera, improvvisata senza appuntamento, per il doc realizzato dal sottoscritto “Un altro calcio -Bologna in Champions”. «Quando arrivai – ha confessato in quella circostanza – tutti mi ripetevano “portaci in Europa”, ma devo ammettere che mica avevo capito bene cosa significasse…». Nel senso dell’impegno, della fatica, del denaro e del tempo che arrivarci davvero avrebbe poi comportato. Profetica la chiusa: «Arrivare in Europa è stato facile, e ovviamente lo dico scherzando, ma il difficile arriva adesso, per cercare di rispettare le aspettative dei bolognesi». Il malumore attuale dei suoi nuovi concittadini, che già monta sui social e sui media, lo percepisce fino a un certo punto: quando gira per strada solo gente che lo saluta, lo ringrazia, gli chiede un autografo o un selfie. Un calore che gli piace al quale si lascia andare sempre volentieri.

La sua vita bolognese, da quando si è radicato, è ancor più defilata di prima. Quando veniva una volta ogni tanto, l’agenda era sempre fitta di impegni aziendali e sociali ineludibili. Oltre a Fenucci e Di Vaio tra i suoi commensali più assidui c’erano gli imprenditori Marchesini, Sabatini e Cesari. Adesso ha un suo giro di amici extra calcio. riservati come lui, ma rimane un tipo tutto casa e campo.

Si sveglia all’alba, tra le 5.30 e le 6, qualche volta va a correre ai Giardini Margherita. Arriva molto presto in sede a Casteldebole sulla sua auto (niente più autista) e si allena un paio d’ore in palestra prima di dedicarsi al club fino a pranzo e nel pomeriggio, quando si sveglia l’America, agli affari di famiglia. La sera perlopiù sta in casa con il figlio Jesse, che gioca nell’Under 18 rossoblù e frequenta in dad la scuola americana. E spesso anche col primogenito Luca, che fa apprendistato nel Bfc tra area tecnica e marketing e vive in un’altra casa acquistata in zona Castiglione. La moglie Carmie si divede tra le due parti del mondo, perché nell’altra ci sono gli altri due figli Simone e Joey jr. Frequenti sono le visite a Bologna dei famigliari sia italiani che canadesi.

Tra i ristoranti preferiti c’è a Calderino “Io & Loretta” di Ottavio Alberghini, storico amico di Gianni Morandi , covo amato da tutti i rossoblù. Nei suoi giretti a piedi in centro non disdegna uno spuntino all’Enoteca Italiana di via Marsala, dove rifornisce la cantina. Nel weekend messa in San Pietro o San Petronio e poi tutto il calcio possibile, in tv o meglio dal vivo, in qualsiasi stadio si giochi nel raggio di 300 km. Perché gli piace davvero.

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