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La lettera di Gianni Mura a Totò Schillaci

Dai “Cattivi pensieri” del 5 luglio 1990

Forse adesso posso rivolgermi direttamente a Schillaci (7). Caro Salvatore, si può pensare che la favola bella sia conclusa. C’era in questa favola qualcosa di incredibile, come quando il saltatore modifica la traiettoria in volo. Lei saprà che la favola era quella di Vialli (7, non riferito al mondiale) e che aveva determinati ingredienti: il ragazzo della porta accanto, il buon borghese che non entra in tackle coi congiuntivi, Gianluca.

Io non credo agli oroscopi, ma un po’ ai nomi. Il paese è passato da Gianluca a Salvatore, che non era il ragazzo della porta (blindata) accanto ma del quartiere Cep, che difficilmente avrà proposte dalla ricche tv per fare il presentatore o l’intrattenitore. Per via del look, naturalmente. Vialli ha occhi gatteschi di colore vago, buoni in bianco e nero e a colori, Schillaci ha occhi cagneschi in cui s’allarga la violenza di tutti i giorni, fatta e subita, alla stato brado. L’Italia che s’innamora, per citare il vecchio De Gregori (8,5), è balzata dal cavallo Gianluca simbolo yuppie al cavallo Salvatore simbolo proletario. Detto fra noi, caro Schillaci, basta che uno la butti dentro e il resto non conta.

Se fa il mestiere vostro, di lei e Vialli intendo. L’Italia che s’innamora ha volteggiato sulle vostre schiene come al rodeo di Abilene. Bastava saltare gli ostacoli, andare avanti. Ovviamente, Salvatore è un nome troppo lungo per titoli a tutta pagina, Pelé, Zico e Riva non hanno avuto questi problemi. Ho apprezzato le discussioni su come chiamarla: Totò, Turi, Turiddu. Ho letto che per sua moglie lei è Salvo, ho invano atteso dall’avvocato Chiusano un diminutivo di Salvatore (per esempio Torino), ho preso atto che lei segna molto di testa (Saltatore Schillaci) e ho visto che veniva affittato per sancire l’unità d’Italia (Saldatore Schillaci). Per essere sincero, m’è venuto il latte alle ginocchia, ma non è colpa sua. Io ho un sogno: che nasca un immenso goleador a Bevagna, a Morrovalle, a Chiusi. Nel centro d’Italia, così non ci sono risposte al senatore Bossi (da dare eventualmente in altra sede, diversa da un campo di calcio), né sirventesi che nemmeno De Amicis ubriaco. Ma è un sogno, non ho questo potere, non ho nessun potere: si figuri che non sono nemmeno riuscito ad avere (con robusti agganci nel Col) due biglietti a pagamento per Costarica-Svezia. E così, caro Schillaci, le regalo qualche anagramma sparso del suo nome, buttato giù nel molto tempo libero: L’arso vate vale astro, re salvato resta, vola. Poi le regalo una previsione: si tenga pronto. Si ricordi di Paolo Rossi, che nell’82 fece (aiutato dai compagni) qualcosa più di lei. Amatissimo il minimo indispensabile, di nuovo un ladrone a Casale, quando non volle firmare il contratto offertogli da Boniperti. Lei ha conosciuto brutti momenti, brutti sputi, brutti cori negli stadi. Torneranno, torneranno, la tregua è finita, la favola è interrotta, l’Italia scende dalla schiena del cavallo Schillaci, era tutto previsto da Dalida: i cavalli son stanchi nell’umida sera. E anche i rigori: bang bang. Arrivano i nostri? No, sono arrivati.

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