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Chi è Ivan Juric, nuovo allenatore della Roma: la scuola di Gasperini, il capolavoro di Crotone, il carattere forte e il modulo che utilizzerà

Comunicato ufficiale dei giallorossi. È stato l’incontro con l’attuale tecnico dell’Atalanta a svoltargli la carriera. In Calabria ha firmato una storica promozione in A, a Verona un biennio di successi e plusvalenze, al Torino le frizioni con Cairo

TORINO – La Roma, è ufficiale, si è messa in casa un allenatore spigoloso e limpido, intransigente e passionale, meticoloso e testardo: ognuna di queste cose può essere al tempo stesso pregio e difetto e Ivan Juric è il primo a saperlo. Ma sarebbe anche l’ultimo a cambiare per accondiscendere: l’uomo e l’allenatore sono tutti d’un pezzo, dunque vanno presi così come sono. Provare a cambiarlo significherebbe perderlo. Ad assecondarlo, si rischiano risultati clamorosi, perché Juric è un pezzo unico.

Juric, una carriera all’ombra di Gasperini

Da calciatore Juric è stato un mediano ruvido e sgraziato ma inesauribile, trascinante, con il piglio del leader che ha mostrato prima a Crotone e poi al Genoa sotto la guida di Gasperini, il suo mentore. Cresciuto nell’Hajduk di Spalato, la sua città e l’unico posto dove riesca a staccare la spina e godersi la vita almeno per un paio di giorni, prima di arrivare in Italia è passato dalla Spagna (anzi dall’Andalusia: Siviglia e Albacete), ma è stato l’incontro con Gasp a fargli svoltare la carriera e a portarlo anche in nazionale (5 presenze con la Croazia). Di Gasperini ha assimilato e importato quasi tutto e dei suoi allievi è senza dubbio quello che più gli somiglia, anche perché è proprio collaborando con lui che ha vissuto le prime esperienze in panchina, all’Inter e al Palermo. Si è messo in proprio partendo dalla Primavera del Genoa e poi dalla C con il Mantova, ma è a Crotone che ha realizzato il suo capolavoro, portando i calabresi in Serie A per la prima volta nella loro storia dopo un campionato strepitoso, con un gioco martellante giocato a ritmi folli: uno spettacolo.

Juric, a Verona un biennio di successi e plusvalenze

Le due successive esperienze sulla panchina del Genoa sono state contraddittorie, mentre è a Verona che, come tecnico, si è affermato definitivamente, portando i gialloblù al nono e al decimo posto con una rosa raccogliticcia e permettendo al club di fare plusvalenze sensazionali (Kumbulla, Rrahmani, Amrabat, Zaccagni), grazie anche alla sintonia con il ds D’Amico, guarda caso oggi all’Atalanta con Gasperini.

Juric, al Torino un triennio in calando e le frizioni con Cairo

Dopo il biennio di Verona, città cui è rimasto molto legato, ha sperato di fare il salto di qualità con il Torino senza però mai schiodarsi dal centroclassifica (10°, 10°, 9°): dopo una prima stagione eccellente e sfortunata, la qualità del gioco è andata in calando e parallelamente sono aumentati gli attriti con il presidente Cairo e il ds Vagnati (memorabile una lite furibonda tra i due con tanto di insulti al patron, durante un ritiro estivo in Austria e filmata dal telefonino galeotto di un giocatore), accusati di essere poco ambiziosi. Nel terzo anno si è rotto anche il rapporto con il pubblico, dopo un biennio in cui era stato quasi un capopopolo: un dito medio mostrato alla curva e alcune dichiarazioni contro la malmostosità del tifo granata hanno accelerato una rottura inevitabile, cosicché il contratto triennale si è esaurito alla sua naturale scadenza. Quest’estate ha avuto la possibilità di guidare l’Hajduk, la sua squadra del cuore, ma si è ritratto poco prima di firmare (e a Spalato è andato Gattuso), mentre il sogno di diventare ct della Croazia lo ha solamente cullato, poi la federcalcio ha confermato Dalic.

Juric ha un solo modulo, il 3-4-2-1

Tatticamente Juric è molto definito e assolutamente originale perché, di fatto, ha estremizzato i principi di Gasperini e non li ha mai traditi: nessuno gioca come lui. Il suo modulo di riferimento è il 3-4-2-1 (riuscirà a far coesistere Dybala e Soulé alle spalle di Dovbyk?) e se può non lo cambia mai. La sua cifra stilistica sono gli allenamenti molto intensi, i ritmi alti e specialmente le ossessive marcature a uomo a tutto campo per recuperare il pallone il più fretta possibile e andare al tiro rapidamente, ma nelle ultime stagioni il suo gioco si è fatto più circospetto, più prudente, con sfinenti costruzioni dal basso. Con lui le difese fanno sempre un figurone (e di conseguenza i difensori: Bremer e Buongiorno sono sue creature), ma la parte creativa viene lasciata ai due trequartisti: bloccati loro, il gioco singhiozza. Di rado i suoi centravanti segnano molto, in compenso i portieri mantengono spesso la porta inviolata. La rigidità tattica, che il maestro Gasp ha superato da anni, rimane il suo limite più evidente, lo scoglio su cui si è incagliata la possibilità di un salto di qualità, specie da quando gli allenatori avversari hanno studiato contromosse più efficaci. Fra i colleghi vanta comunque molti estimatori e uno dei più ferventi è Sarri, che pure ha concetti di gioco totalmente opposti ai suoi.

La formazione di Juric

Dal punto di vista caratteriale, Juric è sanguigno e generoso. Con i giocatori ha un rapporto diretto, basato sulla verità senza mezze misure: non a tutti può piacere, ma chi l’ha seguito ne ha sempre tratto dei benefici. Casomai, il rapporto si logora per la ripetitività degli esercizi e delle idee proposte, ma questa è un’altra faccenda. È figlio di un’insegnante di sostegno e di un docente universitario di lettere classiche che dovette lasciare il lavoro ai tempi della guerra, essendo in disaccordo con il regime croato. Ripartì dal basso e divenne dirigente d’azienda. È mancato pochi mesi fa. Anche Juric figlio è molto colto, avido di letture che spaziano in molti campi, anche se non ostenta mai la sua preparazione quasi accademica.

Juric, le birre a San Salvario e il servizio alla mensa dei poveri

Al di fuori della cerchia della squadra, all’interno della quale non ammette interferenze neanche dai dirigenti di maggior peso, è molto diffidente e concede di rado confidenza, ma quando lo fa è generosissimo: a Verona ha spesso dato una mano alle mense dei poveri, senza pubblicizzarlo, e a Torino ha sostenuto un’associazione che dà assistenza ai genitori dei bambini malati. Ma lo si è visto spesso prendersi una birra a San Salvario, uno dei quartieri più multietnici della città. Ha bisogno di un tifo caldo, sa trascinare e adora essere trascinato: da questo punto di vista la Roma può calzargli a pennello, ma chissà dove lo porterà, in una piazza così complicata, la sua mancanza di diplomazia. Non è uno da mezze parole o da giudizi sfumati: se la sua ostinata integrità viene presa come un pregio, sarà un successo.

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