Dica trentadue. Il calcio italiano è un paziente malandato che da qualche mese deve fare i conti con un nuovo problemino mica facile da risolvere. Da quando è iniziato il campionato l’Italia è il Paese in cui sono stati fischiati più rigori. Solo domenica, tra Juve-Cagliari all’ora di pranzo, Lazio-Empoli e Fiorentina-Milan in notturna ne sono stati tirati sei. Il totale dal 18 agosto a oggi fa 32. Tanti, se pensiamo che un anno fa erano soltanto 21: in dodici mesi un aumento del 52 per cento.
Il metro di giudizio non è uniforme
Ma il problema, più che il numero, è il metro. Chi di voi avrebbe fischiato il rigore per il tocco di mano di Luperto a Torino? Chi quello per il fallo di Douglas Luiz? E ancora: sicuri che fosse fallo all’Olimpico su Dia? E che non fosse da fischiare quello tanto discusso su Baldanzi a Monza?
Il vero problema è che non c’è una risposta. E che tutte queste domande ne producono un’altra. Chi decide: l’arbitro o la macchina? Il designatore Rocchi vuole arbitri che decidano in autonomia, senza aspettare l’aiutino da casa. Ma poi si va in campo e lì le cose non sempre vanno in questa direzione.
L’utilizzo del Var aumentato: siamo già a 30 interventi
Di certo il Var, negli anni, ha debordato: agli albori promettevano non più di un intervento ogni tre partite e mezzo. In questa stagione siamo già a 30 interventi: quasi uno ogni due partite. Aumentano i numeri e insieme cambia la percezione di ciò che avviene: nel weekend, e non è una novità, abbiamo assistito a una raffica di rigori molto televisivi. Se prima solo la sensibilità umana determinava se fischiare o meno, oggi a decidere è la vivisezione operata da una telecamera ad alta definizione. Il risultato: è più facile punire contatti minimi. Basta sfiorare la palla col polpastrello, anche se non se ne accorge nessuno.
Il calcio ha quasi universalmente deciso di mettere la tecnologia al centro del proprio progetto tecnico. Perché il Var ha ridotto gli errori e guardare una partita senza che uno svarione arbitrale venga corretto è straniante. L’effetto però è che sempre più spesso chi deve decidere aspetta: se un attaccante parte sul filo del fuorigioco il guardalinee non alza più la bandierina per aspettare che faccia luce la tecnologia — agli Europei è accaduto spessissimo: era quasi un diktat — e se un giocatore cade in area si cerca al microscopio il tocco incriminato.
Come si comportano attaccanti e difensori
Gli attaccanti lo hanno capito e quel tocco non si limitano più ad accentuarlo: lo provocano. La nuova moda è mettere il piede tra il difensore che sta calciando e la palla. Quasi sempre c’è da guadagnarci un rigore. O “rigorino”: la definizione la inventò proprio Rocchi.
L’altra faccia della medaglia sono difensori più sguaiati: se certi falli non li avevamo mai visti non è solo a causa della tv, ma anche di una qualità media dei giocatori che tende pericolosamente alla mediocrità. E per un difensore non essere poi così bravo vuol dire avere più probabilità di combinare un guaio.
Il resto d’Europa
A dirla tutta, dei 32 rigori concessi in questo campionato solo tre, forse 4 sono stati bocciati dall’Aia. In Europa però i numeri sono più bassi, lo abbiamo detto: in Premier hanno concesso appena 12 rigori, in Spagna 28, ma con 20 partite giocate in più. Al contrario, la Champions è perfettamente in linea con l’Italia: 16 rigori in 36 gare, stessa media sella Serie A.
Magari un argine potrebbe metterlo il Var a chiamata: era una delle proposte presentate dalla Serie A alla Figc, un’idea che piace sempre molto agli allenatori, quando se ne parla: forse perché dà loro l’idea di mantenere un controllo sull’unico fattore veramente imponderabile del calcio: le decisioni di un arbitro. Ma una modifica del genere spetterebbe all’Ifab, il board che vigila sul regolamento per conto della Fifa, e che sul tema è piuttosto tiepido.
I giudizi in tv
Il problema, forse, è che le regole le scrive chi ha diretto partite. Ma poi vanno rispettate dai giocatori, che spesso fanno fatica a capirne la ratio. Su Dazn, domenica sera, Massimo Ambrosini, Marco Parolo e Luca Toni commentavano gli episodi del weekend. Discutendo del rigore non dato alla Roma, Ambrosini condannava «il difensore imprudente: per me è rigore». Parolo difendeva l’arbitro: «Non puoi punire il difensore che non ha colpe», mentre Toni, prosaico, chiudeva dicendo che «ai miei tempi non sarebbe venuto in mente a nessuno di darlo, ma ora ho visto fischiare per molto meno». Nemmeno chi ha vinto un Mondiale sa più che pesci prendere.
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