FIRENZE – Le foto nei corridoi del centro tecnico di Coverciano raccontano la storia azzurra ed era dunque inevitabile che Daniel Maldini, nel suo primo giorno con la Nazionale vera dopo gli assaggi con le Under, si sentisse un po’ osservato dalla parete, cioè dagli sguardi dei suoi illustri predecessori di famiglia: nonno Cesare, tre volte vincitore del titolo europeo alla guida dell’Under 21 e poi ct fermato dalla traversa ai calci di rigore nei quarti di finale con la Francia al Mondiale ‘98, e papà Paolo, 126 presenze di cui 73 da capitano. D’ora in avanti il nipote e figlio d’arte, e quale arte, si sentirà ancora più osservato, lui che di ruolo è attaccante e fantasista, mentre Cesare e Paolo sono stati grandi difensori.
Maldini jr e la prima foto coi pazienti del Bambin Gesù
Non si può dire che non ci sia abituato: gli succede da quand’era bambino e non aveva ancora capito se la sua passione per il calcio sarebbe diventata una professione, ma già gli davano del raccomandato. “Solo che nel calcio c’è meritocrazia: giocano i migliori, non il più ricco o il più simpatico”, disse Paolo Maldini a Gianni Mura in un’intervista del 2016, 50 giorni dopo la scomparsa di papà Cesare. Parlava per se stesso, però ora quelle parole possono diventare benissimo la chiosa per la scena più simbolica del primo allenamento di Daniel a Coverciano: senza pallone, come tutti quelli che avevano giocato domenica in campionato, ma con la maglia da training della Nazionale. La prima foto coi nuovi compagni – è il secondo da sinistra tra Dimarco e Raspadori – gliel’hanno scattata per la posa della squadra coi piccoli pazienti dell’ospedale Bambin Gesù di Roma. Lui ha l’aria seria di chi sa di avere cominciato a scrivere il terzo capitolo della storia di una dinastia impareggiabile: dovrà stabilirne la durata con le prove sul campo, non essendo certo stato convocato da Spalletti (“ha purezza tecnica”) per il nome che porta.
L’omaggio del presidente Fifa Infantino
Gli annali raccontano che eventi del genere sono rarissimi. Nonno Kluivert giocò per il Suriname, figlio e nipote per l’Olanda. Gli Alonso lo hanno fatto per la Spagna, che con la famiglia Llorente ha esteso i rami dell’albero genealogico al leggendario Gento, prozio dell’attuale erede Marcos. Gudjohnsen è il cognome transgenerazionale dell’Islanda, Hernandez quello del Messico, tra Chichari e Chichariti. Poi ci sono le dinastie incomplete, quelle dei calciatori che un po’ sono arrivati in Nazionale e un po’ no: i Forlan in Uruguay, gli Stankovic in Serbia, i Laudrup in Danimarca e i Koeman in Olanda, e lì è pure questione di fratellanza. Che però il caso dei Maldini sia sostanzialmente unico per il livello tecnico dei protagonisti lo dimostra il fatto che il presidente della Fifa Infantino, interista dichiarato, abbia avvertito la necessità di ricordarlo via web ed è parso il riconoscimento implicito della grandezza di Cesare e Paolo, capitani dell’Italia ma anche del Milan.
Ecco come il Venezuela ha provato a convocare Daniel
Tutto questo lo sa perfettamente Daniel, che venerdì prossimo 11 ottobre festeggerà a Coverciano il suo ventitreesimo compleanno il giorno dopo Italia-Belgio a Roma di Nations League, partita in cui spera di esordire, se non dall’inizio quanto meno dalla panchina: basterebbe questo, o al limite il debutto il 14 ottobre a Udine con Israele, per mettere fine ai sogni della federazione del Venezuela, che ha cercato fino all’ultimo di convincere Daniel a scegliere la Vinotinto, grazie al fatto che sua mamma Adriana Fossa è appunto venezuelana. L’impresa appare impossibile, al di là delle telefonate settimanali che i dirigenti della FVF, la Federación Venezolana de Fútbol, fanno da mesi a Paolo Maldini. Daniel intanto è investito in queste ore dai ricordi, non tutti mediatici, alcuni custoditi in fondo al cuore. I pranzi con nonno Cesare, burbero solo per chi non lo conosceva. I giochi d’infanzia nella casa di San Siro col fratello maggiore Christian, che oggi è nello staff del suo procuratore Riso. Il ritorno dalle partite con le giovanili del Milan, con papà al volante che a volte lo rimbrottava perché sì, d’accordo, aveva segnato due gol, però non aveva aiutato abbastanza i compagni a rincorrere gli avversari.
Un attaccante duttile per Spalletti
Gli è servito tutto, se oggi è diventato un attaccante duttile e moderno, capace di scattare in continuazione, di tirare, di dribblare, di duettare e di impostare, ma anche di tornare in difesa a recuperare il pallone in scivolata e di colpire di testa sia nell’area altrui sia nella propria. Spalletti, che nel 3-5-2 o 3-5-1-1 nuovo codice azzurro ha dichiarato di vederlo particolarmente adatto alle accensioni improvvise della squadra, lo può provare da trequartista e da seconda punta, sapendo che grazie al fisico longilineo ma anche potente (è 1.88) si tratta di un calciatore molto eclettico, proprio come serve alla Nazionale: al limite saprebbe fare pure la mezzala. Il ct gli attribuisce un solo difetto – si assenta ogni tanto dal gioco, durante la partita – ma confida nel fatto che l’emozione della maglia azzurra lo possa emendare dall’equivoco che lo ha un po’ tormentato negli anni delle giovanili, quando veniva etichettato come grande talento con poca fame di affermarsi, forse perché nato ricco. Non era vero: pagava, semmai, uno sviluppo fisico non ancora completato con qualche problema di postura nella corsa.
Quando Daniel serviva da calmiere per i contratti
Il Milan lo ha cresciuto e ha creduto in lui, mentre giocava bene a calcio e studiava al liceo De Amicis di Milano. Si è diplomato e poi ha preso anche la laurea del pallone, lo scudetto nel 2021-22, con 8 presenze e 1 gol, più 2 in Coppa Italia e le 3 di Champions, esordendo ad Anfield col Liverpool, 33 anni dopo il debutto in Coppa Campioni di papà Paolo e 66 dopo quello di nonno Cesare. Papà nel frattempo era diventato dirigente e quando c’era da firmare i contratti, per il ds Massara, Daniel era il calmiere ideale: meglio un euro in meno che uno in più, così nessun coetaneo e nessun procuratore potevano reclamare più soldi: se il club fissava il tetto per un Maldini, come poteva un suo compagno pensare che avrebbero sgarrato con lui?
La formula della cessione al Monza di Galliani e Nesta
Ma poi, a un certo punto, dopo i prestiti allo Spezia e all’Empoli e al Monza (da gennaio a giugno 2024), il Milan ha smesso di credere in Maldini junior e lo ha ceduto al Monza di Galliani dirigente e Nesta allenatore, due che Daniel da piccolo vedeva l’uno come il datore di lavoro e l’altro come il compagno di reparto ideale di suo padre. Dopo la precedente rinuncia della dirigenza milanista targata Usa a Paolo direttore tecnico (e forse l’ossessione di “demaldinizzare” la squadra, che ha perso via via Tonali, Kalulu, Vasquez, Adli, oltre al declassamento a inizio stagione di Gabbia, poi precipitosamente rilanciato fino alla convocazione in Nazionale condivisa appunto con Daniel), la formula della cessione è molto particolare. La cessione è avvenuta a costo zero, con il 50% al Monza e il 50% al Milan dell’eventuale futura rivendita a un altro club. Il Milan si è però riservato il diritto di prelazione: in pratica potrà pareggiare qualsiasi offerta e, se il giocatore sarà d’accordo, potrà riprenderselo, versando al Monza la metà della cifra. Significa che, per quanto abbia smesso di puntare su di lui, ha deciso di non recidere lo storico legame. Esiste dunque la possibilità di rivedere al Milan un Maldini. Intanto, ora che al Monza è spesso il migliore in campo della squadra, nessuno più si permette di dargli del raccomandato. Paolo Maldini spiegò a Mura che Sandro Mazzola gli raccontava di esserci passato a sua volta, in quanto figlio del grande Valentino. Poi deve parlare sempre il campo: nel caso di Daniel, finalmente, anche quelli nobili di Coverciano.