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Tuchel, l’underdog ideale per la panchina dell’Inghilterra

I motivi che hanno spinto la nazionale dei Tre Leoni a puntare sull’allenatore tedesco per il dopo Southgate

Perché l’Inghilterra si sia messa nelle mani di Thomas Tuchel, un allenatore tedesco (dunque un acerrimo rivale, in teoria), è abbastanza facile da spiegare: di buoni allenatori inglesi non ce ne sono o forse al massimo ce n’è uno, Eddie Howe del Newcastle, però blindatissimo da un contratto infrangibile.

Wilkinson l’ultimo inglese a vincere la Premier, 33 anni fa

I dati parlano chiaro: l’ultimo allenatore inglese a vincere la Premier League fu Wilkinson nel 1991, con il Leeds, e l’ultimo a giocarsi una finale di Champions Venables nel 1986, con il Barcellona. All’epoca neanche si chiamavano Premier e Champions, ma First Division e Coppa dei Campioni. Non esiste dunque una scuola tecnica inglese degna questo nome e lo stile ancestrale del football britannico è ormai superato da decenni: era il calcio tamburellante delle corse, dei dribbling, dei cross, dei tackle senza filtri e senza nessuna regola tattica. Di quella filosofia sono sopravvissuti solamente i ritmi elevati, la combattività spasmodica e l’intensità, concetti negli anni ammodernati e raffinati da tecnici stranieri di scuole diverse, dal francese Wenger allo scozzese Ferguson, dallo spagnolo Guardiola al tedesco Klopp, dal portoghese Mourinho al cileno Pellegrini fino ai nostri Ancelotti, Ranieri e Conte.

In Premier soltanto tre allenatori inglesi

Straordinari maestri come Paisley e Clough sopravvivono a stento nei ricordi. Oggi in Premier ci sono appena tre allenatori inglesi, ma è capitato che ce ne fossero anche meno. Resistono Howe al Newcastle, Dyche all’Everton e O’Neil al Wolverhampton. Gli ultimi due lottano per la salvezza (i Wolves sono ultimi) e l’unico con qualche ragionevole ambizione è Howe, che è sesto in classifica. D’altronde, il tecnico dei Magpies è quanto di più distante ci sia dalla cultura calcistica inglese: tecnicamente, per dire, ha sempre avuto una cotta per Sarri, che volle conoscere già quando lavorava all’Empoli. Altri, sono fuori del giro: Potter, l’ultimo a provarci con una big, è fermo da aprile, quando il Chelsea lo esonerò (e lo sostituì ad interim con Lampard, un altro che si è già giocato la reputazione), Gerrard sta in Arabia e Rooney langue in Championship con il Plymouth. I disastri combinati da Carsley, ct dell’under 21 che ha traghettato la selezione maggiore da Southgate a Tuchel, confermano la povertà tecnica della scuola di allenatori inglesi.

Southgate, l’uomo che ha risollevato il calcio inglese

In pratica, l’unico allenatore inglese di solido livello internazionale è quello che la nazionale ha da poco fatto fuori: Gary Southgate, l’uomo che con pazienza, buon senso e molta ostilità da parte della critica (ha di rado proposto un gioco brillante, è vero) ha riportato l’Inghilterra a livelli adeguati alla sua storia, alla fama della Premier League e all’altissima qualità media dei giocatori che oggi sono selezionabili (merito dei vivai, sui quali anche i club più ricchi investono ormai tantissimo, specie rispetto a qualche anno fa). Southgate, tra l’altro, ha avuto un ruolo chiave anche nella riorganizzazione delle strutture federali e soprattutto del National Football Centre, la Coverciano inglese, nato appena 12 anni fa. Prima, un centro federale non esisteva nemmeno.

Southgate meglio di Capello ed Eriksson

La nazionale del Tre Leoni non vince nulla dal Mondiale di casa del 1966 (anzi, ha vinto soltanto quello) né, prima di Southgate, è mai davvero arrivata vicina a un trofeo: con l’ex ct ha invece conquistato due finali europee e una semifinale e un quarto di finale mondiali, risultati inimmaginabili persino negli anni in cui l’Inghilterra traboccava di talenti (basti pensare al centrocampo con Scholes, Beckham, Lampard e Gerrard) che nemmeno ct navigatissimi come Eriksson e Capello sono riusciti a valorizzare.

Tuchel, l’underdog ideale

Dopo lo svedese e l’italiano, Tuchel è il terzo ct straniero della nazionale che si è sempre considerata più isolazionista. Sceglierlo è stato quasi inevitabile, perché il tedesco corrisponde all’identikit tracciato dalla federazione, che voleva un tecnico di esperienza internazionale, con conoscenza diretta del calcio inglese e qualche trofeo già in bacheca. Fuori portata Guardiola (come tutti gli altri big della Premier, da Arteta a Emery all’emergente Slot), Tuchel è risultato il profilo più idoneo, anche se la sua carriera è stata altalenante: formidabile in Champions, che ha vinto con il Chelsea e sfiorato con il Psg, è andato meno bene in campionato, tant’è che ha contribuito alla più disastrosa Ligue 1 del Psg degli sceicchi (nel 20/21, quando s’impose il Lille, fu esonerato a mezza stagione) e ha guidato il Bayern nell’unica, fallimentare stagione senza titoli dal 2012. Il meglio l’ha dato da underdog al Mainz, al Borussia Dortmund, al Chelsea che sbaragliò in finale il City di Guardiola: essendo l’Inghilterra mai favorita di niente, magari sarà una scelta azzeccata anche per questo motivo.

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