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Il Napoli capolista sa vincere in molti modi. Dagli scontri diretti la verità sulla lotta scudetto

La squadra di Conte ha imparato a soffrire, si è imposta a Empoli e ha mantenuto la testa in un turno in cui le tutte le big hanno ottenuto i tre punti

La corsa del Napoli viaggia (quasi) allo stesso ritmo della stagione scudetto: 19 punti nelle prime otto partite, soltanto uno in meno rispetto a due anni fa, e ovviamente cinque in più dell’anno scorso, quando il disastro era già immanente. Il Napoli di Antonio Conte sa vincere in molti modi, compreso quello minimalista di Empoli: piegato per non spezzarsi sotto le folate fresche ma leggere del gioco avversario, in attesa che un episodio — pronosticabile vista la qualità dei singoli, compresi quelli che entrano a gara in corso — gli tolga le castagne dal fuoco. È quanto succede col rigore di Kvara (meritevole di applausi nella vignetta è Simeone), e così l’allungo prende ulteriore ossigeno. E siccome dalla vetta il panorama risulta più chiaro, imperfezioni comprese, Conte dovrà capire perché Lukaku ha tirato fuori la prestazione fisicamente più insulsa dopo due settimane passate al lavoro a Castelvolturno, anziché in giro con la nazionale. Era lecito attendersi il contrario. L’altro aspetto da chiarire, ma non succederà subito, è quanto il calendario incida su questo primato: se si esclude la Juventus, il Napoli ha affrontato fin qui soltanto squadre della parte destra della classifica, e la curiosa circostanza proseguirà sabato con l’arrivo al Maradona del Lecce, la squadra peggiore del momento. Poi, però, inizierà una sequenza terribile: Milan, Atalanta e Inter prima della sosta, e mica sarà finita. Conte fin qui è stato perfetto, per come ha reagito al ko iniziale di Verona — il mercato pesante è nato lì — e per come ha assemblato la squadra senza lasciare praticamente nulla per strada, e qui il calendario ha aiutato. Presto gli scontri diretti ci diranno se il Napoli è davvero pronto per il massimo traguardo.

L’Inter ha sfruttato l’unica palla-gol pulita

L’ottavo turno ha visto le vittorie contemporanee delle prime sei, ivi comprese Atalanta e Fiorentina che stanno risalendo la classifica a forte velocità, approfittando a loro volta del calendario. È evidente che i tre punti più significativi sono quelli dell’Inter, che a Roma ha vinto un’autentica battaglia con le doti nascoste dei Mkhitaryan e dei Barella oltre a quelle più appariscenti dei Frattesi e soprattutto di Lautaro, implacabile sull’unica palla-gol pulita vista fin lì (a match aperto ne arriveranno altre). Un’Inter chirurgica, molto preoccupata di centrare finalmente un clean sheet, contro una Roma ricca di abnegazione, spirito di sacrificio e carica agonistica, le doti classiche delle squadre di Juric. Solo che la rosa giallorossa è stata costruita con premesse opposte, ovvero privilegiando la qualità, e ci perdonerete se Dybala lo preferiamo pericoloso nell’area avversaria più che umile a ripiegare nella sua.

I giocatori espulsi dovrebbero avere più sangue freddo

Se la capolista e la favorita avanzano senza perdersi in ciance, le inseguitrici non hanno acquisito meriti di gioco maggiori. Ma qui va riconosciuto che due partite promettenti fino a quando è rimasta la parità numerica — Milan-Udinese e Juve-Lazio — si sono presto guastate a causa di espulsioni evitabili. Parliamoci chiaro: l’uomo che fila da solo verso la porta viene fermato correttamente dal difensore in rimonta una volta su dieci, a stare larghi. Nelle altre nove scatta il cartellino rosso. Va bene la trance agonistica, ma gente esperta come Reijnders e Romagnoli dovrebbe ragionare anche sotto pressione: con tutta la partita davanti (e il Milan era pure in vantaggio), meglio sperare nel portiere e restare in undici, che poi lanciati verso la porta non erano Haaland e Mbappé, ma Lovric (un gol negli ultimi due anni) e Kalulu (zero). Suvvia.

La mossa coraggiosa di Fonseca lo ha ripagato

Il Milan ha mantenuto i tre importantissimi punti chiudendosi dentro Fort Apache con apprezzabile coesione e una botta di fortuna per il fuorigioco di Ekkelenkamp scovato dal Var. Inestricabile la nuova puntata del dilemma Leao: la squadra assediata avrebbe beneficiato delle sue sortite, respirando per qualche decina di secondi, o si sarebbe inabissata perché il portoghese avrebbe aggiunto all’inferiorità numerica la sua invincibile indolenza? Lasciandolo fuori, Fonseca ha barrato la seconda casella. A differenza del Milan, che si è difeso soltanto, la Lazio in dieci è riuscita a ripartire finché si è fatto male Tavares: Baroni l’ha dovuto cambiare trattenendo in campo altra gente esausta e acciaccata, ed è caduto su autorete nel rettilineo finale. Buon per la Juve, in difficoltà per la quantità di assenze e per alcune presenze ancora impalpabili. Quando ti riduci a esaltare la pazienza, come ha fatto Motta a fine gara, vuol dire che molto altro è mancato.

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