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Dalla benda all’occhio di Silvio Baldini alle galline di Oronzo Pugliese: quando l’allenamento abbatte gli schemi

L’ultima trovata del tecnico del Pescara, far allenare i giocatori con la visuale ridotta, ha riportato alla mente tanti metodi alternativi, alcuni anche pittoreschi

E adesso giochiamo a mosca cieca. Silvio Baldini ha fatto allenare bendati i calciatori del Pescara. Con una benda nera che copriva un solo occhio, come Capitan Harlock, celeberrimo manga di inizio anni 80. Lo scopo: aumentare le difficoltà riducendo il campo visivo, quindi spingerli a trovare nuove soluzioni di gioco e rendere automatici certi gesti. Metodi di allenamento innovativi. Si sperimenta, si sbattono addosso ipotesi e corpi, si indovinano pertugi inattesi nel 4-2-3-1. Chiariamo: non pretendono di cambiare il mondo, ma un’ora e mezza di allenamento sì.

La gabbia di Orrico

Corrado Orrico all’Inter – estate 1991 – portò la gabbia. Con il senno di poi, il finale era scritto: Orrico ci rimase ingabbiato. Il gabbione era lungo 48 metri e largo 26, un campo da calcetto in erba finta, con i muri alti due metri e una copertura. L’idea gli era venuta in spiaggia, guardando i ragazzi giocare. L’aveva provata in vari club, da Brescia a Lucca, pensò che pure all’Inter poteva funzionare. Rivoluzione fallita, si prega di ripassare. La gabbia – un campo ridotto con recinzioni e soffitto – la impose anche Gigi Maifredi alla Juve: lo champagne sapeva di tappo.

Il Marine Ventrone

L’appellativo che precedeva il nome del preparatore atletico Gian Piero Ventrone era Marine. Aveva seguito metodologie dei corpi speciali, aveva fatto parte in gioventù del reggimento San Marco. Con i suoi metodi – durissimi, massacranti – Ventrone lavorò sui muscoli della Juve di Lippi, dell’Italia campione del mondo 2006 e poi si legò a Conte, in un rapporto strettissimo di affetto e fiducia. Nel suo approccio alla “Full Metal Jacket” il momento-clou dell’allenamento era la “campana della vergogna”: a suonarla era chiamato il calciatore che non riusciva a finire l’esercizio.

I gradoni di Zeman

Di Zeman vengono sempre citati i gradoni, intesi come quelli degli spalti. Sotto il torchio del Boemo, generazioni intere di calciatori ne sono uscite con la lingua di fuori. Su e giù, su e giù, anche per un’ora di seguito. Il senso è: se vuoi arrivare in alto, devi sudare. Arne Slot, attuale allenatore del Liverpool, ha fatto allenare i suoi a coppie di due: l’obiettivo, una specie di “torello” senza pallone con i calciatori abbracciati, era quello di sferrare colpi agli avversari che giravano intorno, raffinando riflessi e colpo d’occhio.

Katanec, imbattibile nel basket

Ma ogni regime prevede uno svago. Nella Sampdoria scudettata di Vialli e Mancini, le sedute si chiudevano con una partita di pallacanestro: Katanec il fuoriclasse, Pagliuca a ruota. Ciò che un tempo sembrava bizzarro, oggi è la prassi: il paracadute d’allenamento che permette all’atleta di sprintare con una resistenza costante è la prassi, così come i palloni giganti da pilates usati dall’allenatore dell’Udinese Runjaic questa estate.

La gallina di Oronzo Pugliese

La verità è che certi allenamenti compattano, prima ancora che i muscoli, l’idea di gruppo: nel primo ritiro con il Napoli, Spalletti obbligò i suoi al tiro alla fune, tutti sudati e con le mani grattugiate davanti ad un estasiato De Laurentiis. Della serie: l’unione fa la forza. O la farsa, dipende dai punti di vista: ai Mondiali del 2018 il C.T. Southgate e i suoi assistenti lanciarono dei polli di gomma in mezzo al campo. Questi rimbalzavano (colonna sonora: “Chicken is in the air), svolazzando ovunque, mentre i calciatori inglesi cercavano vanamente di acchiapparli. Sempre più facile di quello che faceva il mitologico Oronzo Pugliese, allenatore negli anni 60 e 70 che ispirò – bontà sua – Lino Banfi per “L’allenatore nel pallone”. Ogni tanto si presentava in panchina con una gallina legata al guinzaglio, la stessa che – in settimana – lanciava in mezzo al campo, sfidando i suoi ragazzi a catturarla. Per la cronaca: mai la gallina fu brodo.

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