La contemporanea sottrazione di Leo Messi e Cristiano Ronaldo dalla lista dei 30 candidati al Pallone d’oro — ventuno anni dopo l’ultima volta —, avvenuta malgrado il primo faccia ancora cose che voi umani non potreste immaginare, ma in America, e il secondo segni sempre tanto, ma in Arabia Saudita, era l’occasione perfetta per restituire al calcio la sua preziosa polifonia. Gli attaccanti rubano l’occhio e i titoli dei giornali, certo, ma in via di esaurimento l’era dei supereroi — Messi e Ronaldo sono stati molto più che grandi punte — ho pensato che fosse giusto premiare in Rodri un fuoriclasse del centrocampo. Per ciò che ha realizzato nei dodici mesi presi in esame (agosto 2023-luglio 2024), e per riaffermare l’importanza di un ruolo che in tempi moderni soltanto Modric era riuscito a portare sul gradino più alto, e questo dopo le dolorose amnesie su Iniesta, Pirlo e Xavi. Viva Rodri, quindi. Il Pallone d’oro non è la Scarpa d’oro.
Molto più di un centrocampista di contenimento
Arrivato a Manchester sei stagioni fa con l’etichetta di rimpiazzo del declinante Fernandinho, lo spagnolo nel tempo è diventato molto più di un centrocampista di contenimento. Guidato da Pep Guardiola, il mentore ideale quando si tratta di evolvere un giocatore dotato di un’intelligenza calcistica superiore, Rodri ha acquisito tutte le dimensioni del ruolo, dalla regia all’inserimento, dal sostegno ai compagni al tiro in porta, alla capacità di farlo nei contesti più impegnativi, prova ne sia il gol decisivo nella finale di Champions con l’Inter del 2023. Le cifre che descrivono il suo rendimento lasciano sbalorditi: non solo le 74 partite di fila imbattuto, record assoluto, ma pure la circostanza che il City abbia perso tre delle quattro gare di Premier in cui Rodri non è stato disponibile. Un talismano che nel 2024, oltre al quarto campionato inglese di fila, ha vinto anche l’Europeo da leader della Spagna, alzando il trofeo di miglior giocatore del torneo.
La rabbia e l’arroganza del Real Madrid
Sulla base di queste premesse, la rabbia del Real Madrid, che all’ultimo momento ha deciso di disertare completamente la premiazione per la mancata vittoria di Vinicius, è difficilmente spiegabile, se non con l’arroganza. Il brasiliano figura giustamente al secondo posto, perché i 24 gol realizzati tra Liga e Champions (compreso il 2-0 al Dortmund, seconda volta che Vinicius segna in una finale) lo eleggono attaccante dell’anno in Europa, e la sua tecnica ad altissima velocità ci divertirà a lungo. Però in nazionale ha assistito da spettatore — era squalificato, e questa è una colpa — all’eliminazione del Brasile nei quarti di Copa America. Anche in previsione di un futuro nel quale lui, Mbappé e Haaland si divideranno molti trofei, questa era a maggior ragione l’edizione in cui riequilibrare i conti dei reparti, prova ne sia il terzo posto di Jude Bellingham, eccezionale nella parte ascendente della stagione — ci fosse stato un Pallone intermedio a Capodanno, sarebbe certamente andato a lui — ma in netto calo in quella discendente, fino ai bagliori intermittenti con la maglia inglese all’Europeo.
Ancelotti miglior tecnico
Se a Vinicius e Bellingham aggiungiamo il quarto posto di Carvajal, il Real Madrid ha piazzato tre delle sue stelle fra i primi quattro, oltre a vincere doverosamente nella categoria riservata ai club e a trionfare con Carlo Ancelotti fra gli allenatori. Non sono risultati da sbattere la porta sdegnati: restare a Madrid è stata una grave caduta di stile.
Il mio voto specchio della classifica finale
Quest’anno il mio voto dal primo al terzo posto si sovrappone esattamente alla classifica ufficiale: Rodri, Vinicius, Bellingham. Ho invece considerato la stagione di Lautaro Martinez degna del quarto posto, mentre è finito settimo. Lautaro ha condotto per mano l’Inter a uno scudetto a lunga gittata, e in Copa America non si è limitato al gol che valeva il titolo — il più pesante — ma è stato capocannoniere del torneo. Al di là dei risultati, poi, l’argentino è così cresciuto da saper aiutare l’Inter anche nei periodi di mira sbilenca che a volte gli capitano. Non è più soltanto un (bravo) attaccante, ma un uomo squadra. Come in un modo diverso lo è Granit Xhaka, la mia quinta scelta, regista del Bayer Leverkusen campione di Germania e della Svizzera che ci ha buttato fuori dall’Europeo: giocatore raffinatissimo, il 16° posto non gli rende giustizia. Per quanto riguarda i portieri, una stagione priva di grandi interpretazioni del ruolo ha visto la vittoria-bis di Emiliano Martinez, grazie all’Argentina e all’Aston Villa: forse perché era la novità, ma gli ho preferito il georgiano del Valencia Mamardashvili, dall’anno prossimo al Liverpool.
Il mio voto per Gasperini
Quest’anno si votava anche per il trofeo degli allenatori, e com’era logico che fosse Carlo Ancelotti se l’è portato a casa sull’onda della doppietta Champions-Liga con il Real Madrid. Meritava di riceverlo di persona, il più penalizzato dai capricci di Florentino Perez è stato lui. Per quanto riguarda il mio voto, si è trattato della scelta più difficile, anche perché il ct spagnolo Luis De La Fuente ha vinto l’Europeo con una qualità di gioco che a livello di nazionali non si vedeva dall’altra Spagna campione, quella del ciclo Aragones-Del Bosque. Alla fine, però, ho deciso di privilegiare Gian Piero Gasperini, perché l’Atalanta che vince — e in quel modo — l’Europa League è un evento che oltrepassa non soltanto la normalità, ma anche l’immaginabile. Un’impresa costruita da Gasperini con la società in nove stagioni, l’ultima delle quali ha lasciato sul campo ko corazzate che oggi corrono per la Champions come Liverpool e Bayer. Se facciamo le proporzioni, Gasperini quest’anno è fuori scala per tutti.