VERONA – I giovani, per loro fortuna, sanno ancora essere ingenui. Matias Soulé è giovane e certamente ingenuo quando racconta i passi della crisi della Roma: “C’era Daniele, poi è arrivato il mister…”. Nel nugolo delle frasi fatte che esprimono pensieri più o meno sinceri e più o meno opportunisti, quel sospiro innocente del ragazzo argentino è una didascalia che descrive una fotografia: prima c’era Daniele, cioè uno di noi, un amico della squadra, un confidente, e adesso c’è il mister, vale a dire la figura professionale cui facciamo riferimento e le cui direttive seguiamo con scrupolo, ma non è la stessa cosa.
L’effetto sullo spogliatoio dell’esonero di De Rossi
Probabilmente Soulé non si è neanche accorto di come ha usato le parole: gli sono venute d’istinto e in quella frase non c’è nessuna malizia, perché è normale che Juric, paracadutato in una situazione burrascosa, non abbia col gruppo la medesima sintonia del suo predecessore, che con la Roma ha un legame specialissimo. Però sono anche parole che incorniciano uno stato d’animo collettivo e l’effetto che ha avuto sullo spogliatoio l’esonero di De Rossi, che non era un allenatore come gli altri sia per la sua anima giallorossa sia perché coi giocatori ha cercato di avere un rapporto più intimo, convinto che toccare le corde del cuore sia essenziale per coinvolgere il giocatore, farlo sentire parte dei destini della squadra.
Soulé e il sì alla Roma
Con Soulé questo l’aveva fatto specialmente, ancor prima che l’ex juventino venisse acquistato: è stata l’opera di convincimento di “Daniele” a persuadere l’argentino che nessuna squadra più della Roma fosse adatta a lui. Un “mister” può battere altri tasti e ottenere gli stessi risultati, ma qui è con “Daniele” che avevano immaginato di poter fare grandi cose.