FIUMICINO – La riforma di Gravina è realtà. Senza i voti della Serie A. La modifica dello statuto che cambierà i pesi elettorali e politici del calcio italiano passa l’esame del voto, ma su questo non c’erano molti dubbi. La riforma è stata sostenuta dall’83 per cento dei voti.
Chi vince e chi perde
Davvero interessante però è vedere come si è comportata la Serie A. Spaccata a metà. Più o meno. Perché è vero che nessuno ha votato a favore. Ma solo 8 hanno votato contro, con un blocco di 12 astenuti. Quegli 8, sulla carta, sono i voti di Claudio Lotito e di Lorenzo Casini. Vuol dire che a oggi il presidente della Lega Calcio non ha la maggioranza. Certamente sul “no” alla riforma Gravina.
Quei 12 astenuti somigliano a una bocciatura della linea oltranzista anti-Figc: sono i moderati, quelli che preferiscono il dialogo con la Federcalcio al muro contro muro.
Riforma Figc: di cosa stiamo parlando
Spieghiamo di cosa stiamo parlando. Fino a qualche ora fa la Lega Serie A esprimeva il 12% della rappresentanza nel Consiglio federale della Figc, con solo 3 rappresentanti. E il 12% era anche il peso che aveva nell’elezione del presidente della Federcalcio. A luglio il deputato di Forza Italia Mulè ha contribuito alla scrittura di un emendamento al decreto sport che impone per legge di riequilibrare la rappresentanza: per legge, era necessario darle più peso e più autonomia “tenendo conto anche del contributo economico” della Serie A. Non prevedeva cifre minime, però.
Riforma Figc: cosa cambia
La Federcalcio ha quindi lavorato a una riforma dei pesi elettorali che coinvolgesse maggiormente la Serie A nella vita federale. Nel testo finale, figlio di lunghissime ore di consultazioni e di altrettanti scontri, la Serie A passa dal 12 al 18% e da 3 a 4 consiglieri. Non solo: ottiene anche il “diritto di intesa” su ogni riforma che la coinvolga “esclusivamente”. In pratica: ogni norma sulla Serie A per entrare in vigore, deve essere condivisa dalla stessa Serie A. Il problema sorge però quando intesa tra Figc e Serie A non c’è. Soprattutto se c’è un termine temporale entro cui arrivare a una decisione, come per esempio per le licenze nazionali (ossia i termini per iscriversi ai campionati) o i tesseramenti di calciatori extracomunitari: in quei casi bisogna trovare una soluzione. E qui nascono i problemi.
Cosa chiedeva la Serie A
La Serie A voleva che in quei casi vincesse la sua linea. Tradotto: dove non c’è accordo, decide la Serie A. Non solo: voleva anche arrivare al 20% del peso elettorale, con 5 consiglieri federali. Ha quindi depositato questa istanza portandola in assemblea. E ha anche preventivamente depositato ricorso contro il regolamento dell’Assemblea. Una linea oltranzista, condivisa all’unanimità giovedì. Poche ore prima dell’assemblea, i club si sono riuniti per decidere come sostenerla. È emersa una linea: consapevoli che l’assemblea avrebbe bocciato le istanze della Serie A, cosa si fa? Alla fine è stato preso un accordo: nessuno avrebbe votato a favore della riforma Gravina. O contrari, o astenuti. Così è stato.
Solo 8 voti contro Gravina
Quindi è giusto dire che nessuno, all’interno della Lega Serie A, ha sostenuto la riforma Gravina. Ma su come si è votato è necessaria un’analisi. I voti della Serie A contrari alla riforma Gravina sono stati solo 8. Perché “solo”? Semplice: perché il “no” era di fatto un voto in favore delle istanze presentate dal presidente Casini. Ma solo 8 hanno optato per questa soluzione. Molti meno di quanti si immaginasse alla vigilia. Quei 12 astenuti hanno di fatto espresso una linea morbida, di apertura al dialogo. Per questo, se Gravina ha vinto vedendo la sua riforma votata dall’83% dell’assemblea, Casini e Lotito, suo primo ispiratore, devono incassare una sconfitta significativa. Perché vuol dire che a oggi il presidente della Lega Calcio non ha la maggioranza. E tra la fine dell’anno e l’inizio del 2025 bisognerà votare per la sua conferma.