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Il Real senz’anima tra campioni e profitti: ora anche Ancelotti è in discussione

In difficoltà in Champions, iniziano a circolare voci di tensioni interne: l’allenatore deve gestire Mbappé e Vinicius e il difficile dopo Kroos

Domenica mattina Florentino Perez si presenterà all’assemblea annuale dei soci del Real Madrid con un carnet di appunti particolarmente ricco. Rivendicherà come sua la scelta di disertare la cerimonia di premiazione del Pallone d’Oro malgrado il club avesse fatto incetta di riconoscimenti – mancava però il più ambito -, aggiornerà l’assemblea sulle tensioni con Fifa e soprattutto Uefa e illustrerà il disegno rivoluzionario di trasformare i soci del club in azionisti. È prevedibile che il progetto sollevi qualche perplessità – la struttura societaria è inalterata dalla fondazione, 1902 – e Perez proverà a superarla vietando la circolazione delle azioni fuori dai nuclei familiari. Almeno per ora. La ragione della svolta è quella che ispira quest’ultima fase della presidenza Perez: massimizzare i profitti condividendoli il meno possibile. La guerra col presidente della Liga Javier Tebas è in corso da quando il fondo Cvc è entrato nel capitale dei club spagnoli, accordo cui il Real non ha mai aderito, e Florentino è convinto che una struttura rinnovata in senso azionario possa curare meglio gli interessi madridisti. È atteso anche un aggiornamento sulla questione Superlega, della quale non si sa più nulla, ma che Real e Barcellona almeno a parole continuano a perseguire.

Questo sul fronte societario. Come in ogni assemblea arriveranno anche domande relative al lato sportivo, e se nei periodi di vacche grasse i quesiti riguardano i prossimi acquisti “galattici”, stavolta la connessione fra previsione di bilancio e risultati della squadra non produrrà domande indolori. Liverpool-Real Madrid, in calendario mercoledì ad Anfield, è già un delicatissimo snodo: dovesse perdere – e il record del Liverpool in stagione è 15-1-1 – il Real sarebbe pressoché certo di dover ricorrere ai playoff di febbraio per accedere agli ottavi di Champions. In caso di pareggio, sarebbe poi costretto al punteggio pieno nelle ultime tre gare, e la prima di queste sarà in casa dell’Atalanta. Prospettive complicate, che non dovrebbero riguardare i campioni in carica, se non fosse che i k.o. contro Lille e Milan li hanno fatti scivolare tra color che son sospesi.

La sconfitta del Barcellona a San Sebastian prima della pausa ha almeno bloccato l’emorragia in campionato, perché la brillante corsa della squadra di Flick stava scavando un fossato tra sé e le inseguitrici: il Real è secondo a sei punti ma con una gara da recuperare, quella di Valencia rimandata per l’alluvione. Rimane comunque il peso dello 0-4 subito al Bernabeu dagli eterni rivali catalani, cui ha fatto seguito l’1-3 a opera del Milan. Con questi risultati non mancherà una domanda su Carlo Ancelotti, e siccome il Real è anche una House of Cards calcistica – nel senso di palazzo degli intrighi – non sai mai quanto certi dubbi popolari siano sinceri e quanto suggeriti dall’interno. Florentino ha nel cuore un solo allenatore, José Mourinho, perché la sua personalità lo seduceva. Gli altri li ha sempre vissuti come mali necessari, tramiti non sempre rispettati fra lui e i fuoriclasse “galattici”. Poi è chiaro che verso Ancelotti, chiamato due volte e portatore di ben tre Champions, esista un rispetto che colleghi durati assai meno – pensiamo a Benitez, o peggio a Lopetegui – non hanno ricevuto. Negli ultimi tempi si sono moltiplicate le soffiate su un gruppo di lavoro tecnico non più coeso, su una distanza sorta col preparatore atletico Pintus, e come sempre succede la coincidenza tra queste voci e una quantità abnorme di infortuni ha allargato la crepa. Il presidente dovrà anche chiarire se il Real intenda intervenire sul mercato di gennaio, perché i difensori superstiti dopo gli incidenti di Militao e Carvajal – stagione finita per entrambi – e la troppo prolungata convalescenza di Alaba sono davvero pochi.

Lo scenario da “anche i ricchi piangono” è completato dalle madri di tutti i problemi (sì, sono due): la difficile convivenza tecnica fra Vinicius e Mbappé, e la mancata sostituzione di Kroos. Sugli attaccanti è presto detto, e non da oggi: amano calpestare le stesse zolle – da sinistra verso il centro – e quindi uno dei due è costretto ad adattarsi. Provate a immaginarvi il migliore del mondo o giù di lì a fare il vostro lavoro, eppure il capo vi chiede di cambiare un po’ stile. Lo mandate al diavolo, giusto? Ecco, vi siete appena fatti un’idea di quanto sia complesso il lavoro di Ancelotti (il capo). Niente ci toglierà dalla testa il dubbio che l’assurdo teatro montato da Florentino contro il Pallone d’oro sia stato un modo per dire a Vinicius che non è cambiato niente, anche se il Real ha preso Mbappé il preferito rimane lui.

Il problema supplementare è che il francese, dopo una partenza promettente, si è avvitato in una crisi personale che l’ha portato all’esclusione dalla nazionale, e anche se il provvedimento di Deschamps contiene certamente una quota di protezione nei suoi confronti, l’impatto della notizia è stato forte: non gli giova poi la riservatezza degli inquirenti svedesi sul presunto stupro di Stoccolma avvenuto nel suo giro (nessuno l’ha accusato, ma nessuno l’ha nemmeno scagionato), né la causa pendente col Psg per i compensi arretrati. Vinicius patisce invece i languori del Brasile, la vera palla al piede che gli è costata il Pallone d’oro: due pareggi con Venezuela e Uruguay in questa finestra novembrina, Seleçao appena quinta in classifica (passano in sei), nessun gol in queste qualificazioni. Dietro di loro segna il passo l’infortunato Rodrygo, che pure si sente il figlio di un dio minore vista la concorrenza, mentre i giovani fenomeni (o supposti tali) Arda Guler ed Endrick non trovano spazio come del resto Brahim Diaz. In pratica ne abbiamo mille fra attaccanti e trequartisti contro un centrocampo nel quale la visione di Kroos non è stata minimamente surrogata: non può darla il declinante Modric né il corridore Camavinga, l’opzione inevitabile è l’arretramento di Bellingham, ma chissà quanto gli piace l’idea dopo i 23 gol dell’anno scorso. Sì, gestire tre potenziali Palloni d’oro, che pensano al bene della squadra ma anche a spiccare sulla concorrenza interna, è il lavoro più difficile del calcio

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