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Guardiola, il City e una crisi infinita: tra giocatori a fine ciclo, infortuni e cessioni sbagliate

Sette gare di cui sei perse (quattro consecutivamente) non sembrano un caso. Ecco i tanti fattori che stanno mettendo fuori gioco i campioni d’Inghilterra. E c’è un caso De Bruyne

LONDRA – La rabbia e l’orgoglio. Prima i graffi sul volto. Poi, domenica sera, il gesto del “6” con le mani contro i tifosi del Liverpool che lo sbeffeggiavano. Ossia i sei titoli vinti da lui, il maestro, Pep Guardiola, contro l’unico dei Reds in questo periodo, nel 2020 con Jürgen Klopp, con 18 punti di margine.

Piccole soddisfazioni in un mare di guai. Quelli del Manchester City, capitolato anche a Liverpool domenica, in una disfatta senza storia e ben più pesante del 2-0 finale. Abbiamo già scritto dei record negativi di Guardiola quest’anno (sei sconfitte stagionali nelle ultime sette partite senza vittorie, quarta disfatta consecutiva in campionato) e del -11 dal panzer dell’olandese volante Arne Slot, sinora inarrestabile. Ma ci sono altri aspetti da evidenziare e analizzare in questo fragoroso tonfo del City di quest’anno.

Maledetti infortuni

Sono il primo alibi degli allenatori, ma Guardiola ha di che lamentarsi. Come abbiamo spiegato in precedenza, perdere nello stesso periodo Rodri, De Bryune e Ruben Dias per infortunio è stato un colpo ferale per il City, cui è così venuta a mancare la spina dorsale dei successi degli ultimi anni. Come noto, il Pallone d’Oro spagnolo rimarrà fuori fino alla prossima stagione (e come sarebbe utile a Guardiola quel Gravenberch che Slot ha trasformato mediano all’Anfield), Dias è tornato solo nello scontro diretto contro il Liverpool per combinare pure lui disastri (vedi il rigore e il secondo gol dei padroni di casa), mentre De Bruyne continua a galleggiare in un limbo di insipienza e insofferenza. Anche Kovacic è fuori da tempo e all’Anfield è mancato pure Stones, oltre a Gvardiol punito dopo i disastri di Champions, con Doku rientrato dopo uno stop.

Il caso De Bruyne

Ma l’artista belga merita una menzione a parte. In estate doveva emigrare in Arabia, poi è rimasto, volente o nolente. Ora, soffre di continue infiammazioni pelviche che prosciugano la sua travolgente classe cubista. Dallo scorso settembre, De Bruyne ha giocato solo 71 minuti. Di qui anche la frustrazione in campo, con cartellini gialli immediati, giocate sterili, superficialità (vedi la mega-occasione sciupata nel finale domenica su regalo di Van Dijk) e litigate plateali con gli assistenti di Guardiola. Così, a qualcuno sono saliti sospetti, vedi gli ex calciatori Gary Neville e Jamie Carragher: “C’è qualcosa di strano, sta succedendo qualcosa nello spogliatoio”, hanno speculato con evidente schadenfreude, visti i loro trascorsi calcistici. Mentre continuano le voci di mercato sul 33enne: ora si sono aggiunte anche quelle della Mls americana.

Paura e delirio

Ma l’intermittenza di De Bryune apre un altro fascicolo della crisi del City. Contro il Liverpool è stato evidente come, senza le sublimi geometrie del belga e con l’assenza di Kovacic, i centrocampisti del Manchester osino sempre di meno in mezzo e tra le linee, soprattutto contro squadre così organizzate. È una sindrome – anche psicologica viste le recenti sberle – che ha colpito anche fenomeni come Bernando Silva e Gundogan, tornato brutta copia da Barcellona. Risultato: il gioco del City tende sempre di più ad ingolfarsi sulle fasce, con Rico Lewis e Matheus Nunes che domenica sono stati nulli. Il primo inutile tiro contro il Liverpool, a lato di metri da parte di Lewis, è arrivato al 40esimo minuto del primo tempo. E solo quando nella ripresa è entrato il giovane talento belga Doku c’è stata qualche scintilla in più sulla sinistra, seppur velleitaria.

Haaland e i gol che mancano

Il norvegese è capocannoniere della Premier con 12 reti, anche davanti a Salah “on fire”. Ma, visti gli attuali problemi tattici del City, per lui è sempre più complicato liberarsi davanti alla porta. E, come spesso gli è capitato in passato, può segnare molto in una partita e poi risultare innocuo o impreciso nei big match. A tal proposito, quest’anno la squadra di Guardiola ha segnato pochissimo, a differenza del passato: soltanto 22 gol in 13 partite di Premier. Di questo passo, il Manchester chiuderebbe il campionato con 63 reti.

Una miseria, se comparato agli standard della passate stagioni: a parte il primo anno, nei sei successivi il City di Guardiola ha sempre vinto la classifica dei gol fatti. Solo nel 2020-21 è sceso sotto quota 90, pur vincendo comunque la Premier, perché quell’anno giocava con falsi nueve, come ricorda il “Daily Mail”. E persino quando, nel 2019-2020, il Liverpool ha interrotto il filotto di sei campionati vinti nelle ultime sette stagioni, la corazzata sinfonica di Pep insaccò comunque 102 reti. Ma c’è un altro dato disarmante: la formazione iniziale contro il Liverpool domenica scorsa schierava soltanto un giocatore che quest’anno ha segnato partendo dall’inizio nelle precedenti partite di campionato: proprio Erling Haaland.

Fine ciclo e i giovani scartati

Ma Guardiola ha anche un altro problema: l’età dei suoi calciatori. Il City è la seconda squadra più vecchia della Premier. I giovani acquisti non hanno ancora fatto quello step per essere al top (vedi il seppur bravissimo Doku o Savinho), mentre altri hanno fatto flop (Nunes). Non solo. Per fare cassa, il Manchester si è sbarazzato di talenti straordinari del proprio vivaio come Romeo Lavia, Cole Palmer e Liam Delap, con soprattutto questi ultimi due che stanno facendo sfracelli altrove. Oppure vedi la cessione all’Atletico Madrid, per quasi cento milioni, di uno come Julian Alvarez, che di questi tempi sarebbe stato estremamente utile. Insomma, manca nuova linfa vitale al City, arrivato evidentemente a fine ciclo. Anche di motivazione, vedi gli assurdi cali di concentrazione di una colonna e veterano come Walker.

Il mercato e il futuro

Anche perché, in realtà il City in questi anni non ha speso moltissimo. O perlomeno non incessantemente quanto altre squadre inglesi, vedi i cugini dello United. A parte gli 85 milioni per Gvardiol l’anno scorso e i quasi 100 per Grealish tre stagioni fa, Haaland è stato pagato una cinquantina, Nunes una sessantina, Savinho 35. Spese comunque ammortizzate in diversi anni. Guardiola ha rinnovato per due anni il contratto a fine stagione e ora toccherà a lui supervisionare il “reset” del City per la prossima stagione. I primi obiettivi, secondo il Daily Mail, sono soprattutto a centrocampo: almeno uno tra Wirtz del Leverkusen, Zubimendi della Real Sociedad, Ederson dell’Atalanta e Wharton del Crystal Palace. Ma, ovviamente, sul Manchester e sul catalano pende il processo della Premier League sulle presunte infrazioni del Fair Play Finanziario. Che, nel peggiore dei casi, potrebbero portare a una retrocessione del City. Bruciando tutto il lavoro e forse le vittorie di questi anni.

Guardiola può ancora sperare di vincere la Premier?

Complicatissimo. Non solo perché il Liverpool sinora è stato uno schiacciasassi e 11 punti sono una montagna da scalare, come il grafico che ha mostrato Guardiola a inizio stagione nello spogliatoio per cercare di tenere motivati i suoi. In ogni caso, rimonte simili sono accadute solo tre volte nella storia della Premier League: nel 1992-93, con il Manchester United di Sir Alex Ferguson sotto 12 punti rispetto alla capolista Norwich a dicembre e poi vincitori finali con 10 punti sul Villa. Tre anni dopo, con sempre i Red Devils dello scozzese che recuperarono altri 12 punti di svantaggio del Newcastle di Keegan grazie a 13 vittorie nelle ultime 15 partite. E poi l’Arsenal del 1997-98: 13 punti dallo United a dicembre, ma i Gunners trionfarono in maggio con un punto in più dopo dieci vittorie consecutive. Provaci ancora, Pep.

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