Roma – Lo stupore manifestato dal Guardian per le maiuscole prestazioni degli juventini Di Gregorio e Gatti – ovvero i muri contro cui ha sbattuto il City l’altra sera in Champions – ci dà contezza della rivincita della classe operaia – niente paradiso ma almeno un editoriale – e allo stesso tempo nasconde la nostalgia del non (più) goduto, ovvero del calcio che – proprio in Inghilterra – si è identificato per larga parte del 900 con la working class, in campo e fuori. E va da sé che si presta a svariate simbologie il fatto che la questione torni d’attualità proprio dopo l’incrocio tra i club di due città – Manchester e Torino – che la rivoluzione industriale l’hanno tenuta in braccio da piccola, cullata, nutrita, sfruttata, vista crescere e infine declinare.
I parenti poveri di Manchester
City e Juve, da tempo e con modalità diverse, si sono affrancate nell’élite del calcio planetario, l’una da parvenu nell’ascesa rapidissima di questi anni e l’altra da chi è nobile per statuto e sangue blu, fin dalle origini. Ma nel riassemblare la catena di montaggio storica di entrambi sarebbe sleale non ricordare che – giusto un attimo fa, prima dell’avvento dei reali sauditi – quelli del City erano i parenti poveri di Manchester e venivano scherzati da Sir Alex Ferguson che li definiva i “Noisy Neighbours”, i “Vicini di casa chiassosi”; mentre – erano gli anni 70 – la Juventus di Gianni Agnelli arruolava ragazzi del Sud – il catanese Anastasi, il sardo Cuccureddu, il calabrese Longobucco, il leccese Causio, il palermitano Furino – anche e non solo per compiacere i due milioni di operai che all’epoca salirono a Torino per lavorare nelle industrie, la Fiat in primis, del Nord.
L’elogio di Gatti
Forse allora nel tackle e nella esibita ruvidezza di Gatti gli inglesi rileggono la rivendicazione sociale di chi parte dalla retrovie della società e – a botte di tackle, sputando l’anima, digrignando i denti – conquista il prime-time. “Non ci sono più Platini, Zidane, Del Piero – scrive il Guardian – eppure…”. Eppure la Juve ha smontato il City pezzo per pezzo. E Gatti – continua il Guardian – “ha fatto ciò che nessuno dei nomi celebrati del City era riuscito a fare”. Ovvero? “Break the script, stick a cat among the pigeons”, cioè: “Rompere il copione, ficcare un gatto (si noti il gioco di parole, ndr) tra i piccioni”.
Di Gregorio, pane e fatica
Così pure nella paratona di Di Gregorio sullo scavetto di Haaland vi si legge in filigrana una storia che sa di pane e fatica, connotazione antica di quando – dalle loro parti – il calcio era “Kick and run”, “Calcia e corri” e la madre della Premier si chiamava First Division. Era un calcio più vicino alla gente, che puzzava di fish and chips e si sviluppava seguendo la traccia di ritmi frenetici, tra assalti all’arma bianca, pozzanghere a tradimento e magliette schizzate dal fango. Oggi invece anche i cross sono più patinati e i dribbling hanno una nuance che certamente incanta, ma in cui è più difficile riconoscersi.
Il futuro nebuloso del City
Detto e risaputo che la storia vive di cicli, l’immediato futuro del City, gravato da 115 capi di imputazione per mancata ottemperanza del fair play finanziario e atteso dal “processo del secolo”, non profuma di quel balsamo che circola nei migliori centri benessere. Per cui anche la sciagurata ipotesi di far la fine del “Povero ricco” Pozzetto in un film di quarant’anni fa non è poi così remota. E allora è proprio nel rimpianto dell’identità perduta che si manifesta lo stupore degli inglesi, è nell’affronto subito di chi si presenta al gran ballo in tiro da damerino e si vede rimpallato da un tipo che ha il contorno grezzo del buttafuori, ma che invece è soltanto l’arcigno – how do you say arcigno in english? – difensore della Juventus: Gatti, anzi Cats.