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Inter, estetica e forza: il segreto dei campioni è nel turnover perfetto

Il commento alla sedicesima giornata di campione chiusa dal 6-0 dei nerazzurri alla Lazio

L’ecatombe europea delle reduci dalla Champions non coinvolge minimamente l’Inter per una serie di motivi. Il primo e più ovvio è il lasso di tempo trascorso fra i due impegni: sei giorni, a fronte dei tre toccati alla Juve e ai quattro di Atalanta, Milan e Bologna. Il secondo motivo è la quantità (e qualità) delle rotazioni, perché i titolari ripetuti sono solo sei, e senza gli infortuni sarebbero stati ancora meno. Simone Inzaghi quest’anno ragiona dall’inizio sul doppio traguardo, calcola i minuti di gioco dei suoi uomini come se avesse un foglio Excel in testa, e ne accetta le eventuali conseguenze (Leverkusen) come lo scacchista sacrifica un pezzo per garantirsi un vantaggio di posizione. La terza ragione è che il calendario le ha proposto un’avversaria “europea” come la Lazio: il suo turnover è stato ancora più accentuato — solo tre i titolari ripetuti — ma tra spezzoni di gara e giorni di riposo in meno si può dire che Inzaghi e Baroni si siano affrontati grossomodo ad armi pari. E se affronti l’Inter così, hai una chance se non sbagli nulla: Noslin ha mancato la palla-gol sulla 0-0, poco dopo Gigot ha saltato con un braccio alzato, provocando il rigore che è stato la prima infiltrazione nella diga. L’Inter ha allargato subito il varco, l’ha dilatato ulteriormente, l’onda di piena ha tirato giù tutto. Sei gol. Una distruzione scientifica, e ad alto tasso estetico, che ha tolto di mezzo almeno per il momento la rivelazione più piacevole della stagione (con la Fiorentina).

In attesa che il recupero con i viola fissi la classifica, l’Inter si è riappropriata del primato nei gol segnati (40-39 sull’Atalanta, che ha giocato una gara in più) inducendoci a pensare che il trio in fuga abbia ormai escluso la concorrenza dalla corsa scudetto. Lo vincerà lei, oppure l’Atalanta, oppure il Napoli. L’autunno ruggente di Lazio e Fiorentina merita un supplemento di indagine, ma la loro partecipazione è legata, oltre che al brillante autunno che abbiamo visto, a una capacità di andare oltre le righe che in questo turno è mancata. Quando diciamo che l’Atalanta se la può giocare è anche agli scontri diretti (tra le prime 8) che guardiamo: Gasperini ha fatto 10 punti in 5 gare, Inzaghi 8 sempre in 5, Conte 8 in 6. Baroni con stasera è a 7 punti in 6 partite, Palladino deve ancora giocarne molti, perché ha fatto 6 punti in 4 gare.

Inzaghi all’Olimpico ha affrontato il primo scontro diretto in trasferta, e ha devastato la rivale segnando con sei giocatori differenti, uno solo dei quali — Thuram, ultimo goleador — è un attaccante di ruolo. Nelle prime 15 gare di campionato l’Inter di Inzaghi non aveva mai segnato 40 reti (36-34-37 la sequenza precedente): era successo a Conte nell’anno del suo scudetto. È chiaro che ogni discorso sulle polveri bagnate di Lautaro o sul modesto contributo del reparto offensivo — segna solo Thuram, appunto — scolora rispetto a questi dati. L’Inter sta cambiando ancora pelle, e il meglio pare proprio che debba ancora venire.

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