TORINO — Dusan Vlahovic sfugge più spesso alle definizioni che ai difensori, e questa stessa definizione è destinata a restargli addosso per un tempo del tutto provvisorio, per poi magari vedersela riappiccicata più avanti. Per lui, i momenti vanno e vengono: il mese prossimo saranno oramai tre anni che sta alla Juve e la sua unica costante è l’incostanza, perché ci sono periodi in cui è irresistibile — come quello in corso, con tre gol di fila in tre modi e tre competizioni diverse — e altri in cui sembra incapace di alcuna confidenza con il pallone. Vive con i nervi tesi: certe volte sembra un irriducibile trascinatore, altre un insicuro in conflitto con il mondo, e pure con sé stesso. Non ci sarà mai una via di mezzo, ma alla Juve sta tutto sommato bene che quel centravanti insolito sia una media fra i suoi opposti perché, alternando digiuni e stati di grazia, i gol li segna (12 delle 39 reti bianconere sono sue, quest’anno) e in sua assenza la squadra fa sia la metà dei punti sia delle reti. Il problema è che il rendimento lo allinea a quello di un buon centravanti ma non al prezzo che è stato pagato (81,6 milioni più 10 di bonus) e ai soldi che guadagna: tra stipendio ed extra, fa un milione al mese. In pratica, nel rapporto costi-benefici i conti non tornano, a meno non si riducano i costi o aumentino i benefici. Né l’una né l’altra prospettiva sembrano a portata di mano.
Il rinnovo del contratto di Vlahovic
Vlahovic e la Juventus hanno un rapporto altalenante, che segue gli alti e i bassi del rendimento di centravanti e squadra. Lo stesso accade con i tifosi, che allo Stadium danno l’idea di adorarlo per l’impeto che ci mette ma sui social lo seppelliscono di critiche, incluse quelle cariche di volgarità o rasenti il razzismo. La reciproca contestazione dopo il 2-2 con il Venezia, poi derubricata a incidente isolato, è un segnale interessante di come vanno le cose tra il giocatore e il pubblico, che si schierò compattamente dalla sua parte quando la società tentò di scambiarlo con Lukaku ma che adesso ne è di volta in volta o sedotta o delusa. Ciò che veramente importa è però la considerazione che ne hanno Thiago Motta e Giuntoli: qui si torna discorso dei costi e dei benefici e dunque alla faccenda del rinnovo del contratto del serbo, che scadrà nel 2026. Dopo una lunga fase di stallo, la dirigenza juventina e gli agenti del giocatore hanno deciso di rinviare il negoziato a dopo il mercato invernale e si ripartirà dallo stallo: la Juve offre un rinnovo a lunga scadenza a otto milioni l’anno, quindi con un sensibilissimo rendimento dei guadagni, mentre il giocatore accetterebbe casomai un ritocco molto più contenuto ma per meno tempo, minacciando l’alternativa l’addio a costo zero tra un anno e mezzo. La prospettiva non sembra però spaventare la Juve, che finora ha dato a Vlahovic tre possibilità: o accetta lo stipendio smagrito, o presenta un acquirente con i soldi di bocca (sarebbe la soluzione più gradita, potrebbero bastare 40 milioni) oppure, se rifiuta sia di firmare sia di andarsene, passare l’ultimo anno di contratto da fuori rosa. È quello che in piccolo è successo quest’estate con McKennie, bandito dalla prima squadra fino a quando non s’è piegato alle condizioni economiche del club.
I numeri di Vlahovic in questa stagione
Farà molta differenza se alla fine della stagione Vlahovic avrà segnato 20 o 40 gol, e a chi, e dove, mentre i suoi detrattori sventolano invece altre statistiche che lo riguardano: centra la porta meno di una volta su tre (in A, in 89 fanno meglio di lui) ed è addirittura 118° nel rapporto tra tiri e gol, oltre che il peggiore della squadra per passaggi riusciti (appena il 71%) e il secondo dopo Yildiz per stop sbagliati, nonostante sia quello che tocca meno palloni. Di Vlahovic ogni definizione vale, ha il suo tempo, ha il suo perché.