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De Ketelaere, un giocatore da Liverpool o da Real Madrid

Nelle chiacchierate lontane dai microfoni, l’allenatore dell’Atalanta Gasperini si dice sicuro che il belga tra un paio d’anni giocherà in uno dei club più importanti al mondo

L’Atalanta di Gasperini è la dodicesima squadra nella storia a vincere 11 partita di fila in A. Esistono strisce anche più lunghe – il record di 17 è dell’Inter di Mancini – ma è chiaro che un dato del genere fa impressione già così perché contiene l’intero kit della squadra ambiziosa: lo scontro diretto a Napoli, il successo su una grande storica come il Milan, il colpo di Roma apparecchiato nel finale, le goleade contro Genoa e Verona, la vittoria sporca di Cagliari e adesso i tre punti in extremis contro un Empoli miracoloso nel suo mix di palleggio, velocità e tigna, e che alla fine si è piegato soltanto alla giocata superiore di un campione. Nelle chiacchierate off-record tra amici Gasperini si dice convinto che tra un paio d’anni Charles De Ketelaere sarà un protagonista fisso al Bernabeu, al Camp Nou o in qualche grande teatro della Premier, e prestazioni come quella di ieri spiegano l’orizzonte disegnato al suo pupillo. Dopo che la prima parte della battaglia aveva fissato un palpitante 2-2, l’Empoli aveva chiuso l’area con un dispositivo difensivo sempre più impenetrabile col passare dei minuti, anche perché la sabbia che scende nella clessidra è un fattore d’angoscia che appesantisce gambe e idee. Ma è anche l’habitat più propizio per il campione, l’uomo baciato dalla freddezza nel momento in cui i compagni ansimano dal nervosismo. La risalita della linea dei sedici metri di De Ketelaere è stata l’attesa di un’opportunità, di una finestrella di tiro, di un pertugio come quando in metropolitana l’incrocio dei treni spalanca per un attimo la visuale sulla banchina opposta, ma è un attimo soltanto, lì c’è la donna della tua vita, se non la scorgi non la incontrerai più. Charles l’ha vista, e non l’ha mollata. Non molla niente quest’anno l’Atalanta, che sa di essere giunta al culmine della lunga scalata, e che la vita è adesso: i precedenti delle squadre capaci di strisce a 11 (o superiori) sono in larga parte gloriosi. Passata la tagliola dell’Empoli comincia ora un ciclo di scontri diretti, con Lazio, Juve e Napoli inframezzate dalla Supercoppa. Se c’era un modo per presentarsi a corte in smoking, l’Atalanta l’ha trovato.

Atalanta, Inter e Napoli, le tre gambe dello scudetto

Due partite in meno – una la gioca ospitando il Como – consentono all’Inter di immaginarsi ad altezza Bergamo, e si scopre l’acqua calda nel dire che la caccia allo scudetto sia un tavolino con tre gambe attrezzate: le due nerazzurre più il Napoli, a maggior ragione se Inter e Atalanta proseguiranno a lungo la loro campagna europea. Conte ha tratto legittimi elementi di soddisfazione dal primo tempo di Marassi, ma anche foschi presagi dal secondo, e se c’è una cosa che il Napoli non può permettersi – visto il calendario stagionale tutt’altro che faticoso – è il calo alla distanza dentro alle partite. Detto questo, il Genoa è la squadra che più delle altre fa pesare il concetto di “giocare in casa”, come dimostrano le rimonte (Inter, Roma, Bologna) che ne arricchiscono il curriculum. Pensierino su Balotelli, lanciato in campo per frazioni minime quasi fosse un portiere spedito nell’altra area per la giocata della disperazione: Mario ha sempre vissuto su altre frequenze, prova ne sia che nella minutaglia concessagli ha sfiorato due volte il 2-2. Non tutto è spiegabile con la logica o la condizione atletica, caro Vieira. Quando si tratta di Balotelli, l’immaginazione conta più dell’analisi. Si fidi.

La Juventus e la coperta corta

Anche le altre squadre della zona coppe che hanno giocato fin qui – oltre all’Inter manca la Fiorentina – hanno vinto, dal Milan venerdì a Bologna e Lazio sabato, alla Juve domenica a Monza. Non è stata pienamente convincente ma nella programmazione che porta alla Supercoppa di inizio gennaio questo è probabilmente un periodo di carico, e il risultato guadagna un surplus di importanza. Motta ha schierato la Juve nella versione più offensiva, guadagnando la forza d’urto servita a segnare due gol in mischia ma perdendo ordine ed efficienza in fase di non possesso: la proposta offensiva del Monza, mediamente modesta, è stata consistente. Il che ha dato nuovamente la sensazione della coperta corta bianconera, se voglio segnare devo concedere. Questo può essere normale contro l’Inter, ma le squadre sul fondo classifica non dovrebbero stressarti così.

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