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Roma-Lazio 2-0: Pellegrini e Saelemaekers, il derby è giallorosso

La squadra di Ranieri (alla quinta vittoria su 5 nella stracittadina) indirizza la gara nei primi 18’ con un micidiale uno-due

Roma — Gli occhi lucidi, la mano dell’amico Mancini stretta al collo in un abbraccio soffocante d’affetto. Quanto è lungo un anno? Quanto sono lunghi dodici mesi passati a sentirsi un indesiderato, con una città – la tua città – a rinfacciarti la fascia che porti al braccio, di non essere abbastanza romano, di non essere Totti. Né De Rossi. Poi, proprio la notte che quella città aspetta tutto l’anno diventa in un attimo la tua notte, la notte di san Lorenzo. Pensare che Pellegrini non avrebbe nemmeno dovuto giocarlo, questo derby. Ma Ranieri, che quindici anni fa vinse rimontando contro la Lazio togliendo due capitani romani – proprio Totti e De Rossi – stavolta ha vinto facendo la mossa opposta: mettendo in campo il leader romano inviso a tutti da un anno. Da quando, era il 16 gennaio di un anno fa, Mourinho gli fece trovare nell’armadietto l’anello ricevuto in regalo da lui e dalla squadra per i 60 anni.

«La cronaca della gara»

Ranieri, l’ennesina magia da derby: 5 su 5

L’ultima magia di Ranieri, che col derby romano ha un rapporto inspiegabile: cinque vittorie su cinque, quasi fosse fatto della stessa materia di cui è fatta questa partita («Il mio segreto? Far rimanere tranquilli i giocatori»). La magia l’ha trasferita anche nel cuore del meno atteso dei protagonisti. E lui, Pellegrini, ci ha messo poco più di dieci minuti a spedire la palla all’incrocio dei pali dopo un controllo delizioso, cancellando il tabù da gol di questa stagione maledetta. Un esorcismo ai fantasmi, celebrato da un abbraccio collettivo che ha raccontato quanto pesasse sulle sue spalle quel processo continuo, quella smania popolare di abbattere il totem. Una danza rituale a spegnere le illusioni di Baroni.

La gestione della settimana di Pellegrini

«Non gioca per una questione psicologica, lui è uno che i problemi se li carica tutti sulle spalle», aveva detto Ranieri, sapendo perfettamente che quell’annuncio avrebbe contribuito a togliergli di dosso il macigno delle aspettative, preludio di ogni delusione. «Lui non mi ha chiesto di giocare, ho capito che la sua voglia era andata dove volevo io, che voleva essere il capitano di questa Roma», ha spiegato il tecnico. Quel gol è stato l’inizio di una serata chiusa da Pellegrini indicandosi la lupa sul cuore: un modo per spegnere le voci che lo davano oggi al Napoli, ieri all’Inter, domani chissà. No, grazie: «Io resto qui».

Baroni non si snatura, lo avevano fatto anche Sarri e Zeman

Il 2-0 di Saelemaekers diceva di fatto che la partita era già finita dopo 18 minuti, prima di annunciare: «Nel pullman avevo detto a Lorenzo che avrebbe fatto gol». Una partenza studiata: scavalcare la pressione alta della Lazio per cercare la sponda di Dovbyk ad aprire il campo a Dybala. I gol sono nati entrambi così. Giocando sull’ossessione del rivale: «Non dobbiamo snaturarci». E invece è accettando di snaturarsi che aveva vinto Sarri. E una trentina d’anni persino Zeman.

La rissa finale

Baroni lo ha capito all’intervallo. E ha rifornito di furore la squadra spocchiosetta e narcisa del primo tempo. Ma a quel punto Ranieri ha tirato fuori il mestiere trasformando l’Olimpico in una arena: la tradizionale rissa degli ultimi istanti – altro rito a cui il derby romano non sa di rinunciare – ha aggiunto a un bollettino da otto ammoniti anche l’espulsione di Castellanos, che ha colpito Hummels con una tacchettata. Uno spettacolo che non è piaciuto a Ranieri. Tendendo la mano a Baroni, alla fine, gli ha detto: «Mi dispiace per quello che è successo nel finale». Poi ha festeggiato, il tecnico giallorosso. Ci voleva un amico, per dimenticare tutto il male. Pellegrini lo ha trovato in panchina.

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