MILANO – Quindici minuti per cambiare la storia. Un discorso, qualche urlaccio, lo sguardo indemoniato. Nel mito che avvolge il calcio l’allenatore entra nello spogliatoio all’intervallo di una partita difficile, parla alla squadra e riesce a smuovere forze antiche, motivazioni extra, la convinzione giusta per travolgere gli avversari. A Sergio Conceiçao, in una settimana al Milan, la magia è già riuscita due volte: prima contro la Juve, poi con l’Inter. Il premio è la Supercoppa che capitan Calabria teneva stretta ieri all’arrivo a Malpensa.
Conceiçao e la manata alla tv
Per un allenatore, peraltro appena arrivato, catturare l’attenzione nei pochi minuti di pausa di una partita non è semplice. I giocatori possono essere distratti, sfiduciati, arrabbiati. Bisogna essere incisivi, Conceiçao lo è stato. Anche troppo. Nell’intervallo con la Juve, sotto di un gol, per la foga ha tirato una manata a una tv: “E per fortuna che aveva la febbre, altrimenti chissà quanti schermi avrebbe rotto”, ha scherzato Ibrahimovic nel discorso alla squadra dopo il trionfo di Riad. Non era contento, Sergio, della prestazione dei suoi. Li vedeva impauriti, trascinati a fondo dalla marea bianconera: “Ragazzi, così non va bene. Se vogliamo vincere, dobbiamo prenderci i nostri rischi. Non vi preoccupate: se perdiamo la colpa sarà solo mia. Ma ora basta aver paura. Siete forti, mettetevelo in testa”. Risultato: i rossoneri, andati a riposo sullo 0-1, rientrano in campo (in ritardo, con multa di 6 mila euro), vincono 2-1 e si prendono la finale.
Il discorso di Al Pacino-Tony D’Amato
L’allenatore furioso che scuote i giocatori e li carica fino a trasformarli è un’immagine entrata nel racconto sportivo, idealizzata dal discorso di Al Pacino in Ogni Maledetta domenica. Nel film il coach di football americano Tony D’Amato in quattro minuti arringa la sua squadra facendo leva sulla voglia di combattere per ogni singolo centimetro. Parole che hanno ispirato tanti colleghi nel calcio, dal Cholo Simeone a Pep Guardiola.
Conceiçao è sbarcato in Italia con addosso l’etichetta di duro, uno come D’Amato insomma, in grado di trascinare la squadra con la forza delle parole. Catapultato nel mondo Milan, ha capito che a un gruppo di talento serviva una scossa. E ha trovato la chiave giusta.
La formula dell’intervallo perfetto
Qualche tempo fa Carlo Ancelotti, uno che fra il primo e il secondo tempo perse una Champions a Istanbul, ha ricevuto a Madrid la visita di Eamon Devlin, consulente sportivo nordirlandese che ha intervistato decine di allenatori e calciatori alla ricerca della formula dell’intervallo perfetto. Devlin la racconta così al Paìs: “Il discorso di un allenatore dura in media 5 minuti e mezzo, 770 parole, ma spesso neanche lui ricorda cos’ha detto, figuriamoci i giocatori, che hanno bisogno di cibo, acqua, riposo, più che di consigli tattici. Noi proviamo a convincere i tecnici a parlare solo per 60 secondi, in modo pacato, e a preferire le immagini alle parole, perché la squadra è stanca e va aiutata a capire. In quel momento lo spogliatoio è come un pronto soccorso o una torre di controllo: servono calma e lucidità”.
Cosa ha detto Conceiçao al Milan
Stefano Pioli al Milan fissava cartelli come monito. Sergio, la sera prima della finale, aveva fatto vedere alla squadra un video sull’Inter: i movimenti di Lautaro, come imposta l’azione Bastoni, le scelte di Dimarco. Il Diavolo è andato a riposo sotto di un gol, però, e tornando in campo ha incassato il raddoppio. Eppure non si è disunito. Cosa è successo stavolta nella pausa? “Ho detto due-tre cose a livello difensivo — ha spiegato Conceiçao —, anche in fase offensiva dovevamo migliorare. All’intervallo l’allenatore deve cambiare qualcosa, mi pagano per questo”.
Sergio ha tirato fuori qualità caratteriali che il Milan neanche pensava di avere: lo ha fatto urlando, spaccando un televisore, trasmettendo fiducia ai suoi ragazzi. Il resto è noto: la festa nello spogliatoio, il sigaro, la danza sfrenata, il titolo numero 50 della storia del club rossonero. Per cambiare la storia basta un quarto d’ora. Anche meno.