C’è chi tocca il cielo con un dito e poi passa il tempo a restituire agli altri quello che la vita gli ha dato. Youri Djorkaeff è stato un calciatore visionario, estetico, geniale. Poi imprenditore, consigliere senior del presidente Fifa Infantino e oggi testimonial del Mondiale per club al via il 14 giugno negli Usa.
Djorkaeff, che Mondiale sarà?
“Un torneo di qualità altissima, con le squadre migliori. Già il nome fa sognare, Mondiale. Una vetrina internazionale in cui tutti vorranno lasciare il segno. È eccitante”.
E con un incentivo da un miliardo di dollari di montepremi.“Il denaro fa girare questo business. Ma qui a fare la differenza è la possibilità di essere parte di uno spettacolo imperdibile”.
Ma i giocatori si lamentano per il calendario intasato.“Non ho mai sentito dire a fuoriclasse come Messi, Ronaldo o Mbappé frasi come “giochiamo troppo”. Nelle sfide che scrivono la storia i campioni vogliono esserci”.
Vent’anni fa lei giocò in Mls, oggi come sta il calcio negli Usa?
“Fui il primo francese in America, oggi sono cambiate tante cose. Sono pazzi per il calcio, hanno costruito campi e Academy, il movimento funziona. In Europa forse c’è un po’ di paura, quello americano può diventare un campionato competitivo”.
Otto club di A sono “americani”.“E stanno capendo come è difficile avere successo da voi. Quello che c’è al Milan o all’Inter è diverso da quello che trovano a Roma. I loro investimenti non possono che fare bene, ma il calcio non è una formula certa. Ogni posto ha le sue peculiarità, bisogna adattarsi”.
In Italia la ricordano ancora per il gol in rovesciata in Inter-Roma.“Il più bello della mia carriera. Ci riuscii perché mi sentivo libero, in equilibrio in campo come nella vita privata”.
Dove può arrivare l’Inter in Champions quest’anno?
“Dico in finale. Inzaghi ha una squadra che sembra costruita apposta per l’Europa. I giocatori stanno bene insieme, hanno lo spirito giusto e una serenità che traspare a chi li osserva. Già due anni fa sono andati in fondo, l’esperienza di chi c’era quella volta può fare la differenza”.
Al Mondiale per club ci sarà anche la Juve.“Negli Usa avrà una chance di dimostrare il suo valore dopo una stagione di alti e bassi. Per certi aspetti mi sembra simile al Psg, un gruppo giovane che ha da poco cambiato filosofia, con grandi margini di miglioramento”.
È vero che da bambino non le piaceva il calcio?
“Preferivo gli sport individuali, nuoto e judo. Poi ho seguito mio fratello maggiore. Mio padre Jens ha giocato tra i professionisti (capitano della Francia ai Mondiali del 1966, ndr) ma mi ha sempre lasciato fare quello che volevo. Mi diceva solo: “Quando cominci una cosa, vai fino in fondo senza risparmiarti. Se non riesci, significa che non fa per te”. Un insegnamento che porto con me. Nella mia vita ho commesso degli errori, a volte non ero il più bravo o il più intelligente, ma ho dato tutto me stesso. Per questo non ho rimpianti”.
Il pallone però faceva per lei.“Da ragazzo mi chiamavano Piccolo Mozart. Ma ad ispirarmi è stato Cruyff. Sono sempre stato attratto dalla sua personalità, dalla semplicità con cui in campo si prendeva le responsabilità. E poi la sua libertà di esprimersi, totale. Ho provato a seguire il suo esempio”.
Dopo il ritiro ha fatto lo stilista.“Ho seguito per una tv francese Mondiali ed Europei, poi ho firmato una collezione di abbigliamento sportswear per il marchio francese Zilli. La moda mi è sempre piaciuta, mio nonno faceva il sarto”.
Nonno materno di origine armena, emigrato in Francia con sua nonna per sfuggire al genocidio.“Dal loro piccolo villaggio in Turchia camminarono nel deserto, arrivarono ad Aleppo, a Beirut e da lì in barca fino a Marsiglia. Poi si spostarono a Lione per lavorare”.
Cosa le hanno raccontato?
“Mai nulla. Ricordare era troppo difficile per loro. Preferivano guardare avanti, provare a integrarsi, conoscere la mentalità del popolo francese senza perdere i loro valori. Sa cosa ha fatto mio nonno appena arrivato a Lione? Ha aperto una caffetteria, perché in quel posto le persone entravano, chiacchieravano, e lui ascoltava. Poi ha fondato una squadra di calcio, per giocare in altre città, scoprire altre regioni. La bellezza dello sport: il confronto e le regole universali, che tu sia armeno, francese, italiano”.
In Armenia lei andò la prima volta nel 1999, un’amichevole con la Francia campione del mondo in cui segnò su rigore. Cosa provò allora?
“Facevo parte della squadra più forte e amata della terra. Ho pensato ai miei nonni, partiti senza niente per cercare un futuro migliore. Essere lì con la Nazionale mi ha fatto sentire un eroe, come un Dio. Quando ho fatto gol sono stato travolto da un’emozione fortissima”.
Le trema la voce.“Le mie origini sono importanti. Non dimentico mai da dove vengo. Oggi da consigliere di Infantino vado in giro per il mondo e parlo con alte personalità, ma ricordo sempre il percorso della mia famiglia. Ascolto il più ricco con la stessa attenzione che riservo al più povero. Questa credo sia la mia forza”.
Ci racconta il suo lavoro attuale?
“Vivo tra Zurigo, dove ha sede la Fifa, Parigi e Miami, in cui ci sono altri uffici. Viaggio per promuovere il calcio. Ad esempio siamo stati nelle isole Vanuatu: lì vivono con poco, ma la partita della domenica è la cosa più importante della settimana. Possiamo essere la federazione di tutti”.
È felice?
“Sì, faccio quello che mi sembra importante per lo sport che amo. Non mi fermo mai al potrei, se voglio fare una cosa vado fino in fondo. L’ho promesso tanti anni fa a mio padre”.