È sempre stato un numero dieci. Attaccante virtuoso, prima ancora che allenatore vincente, ma soprattutto regista. Tessitore per indole, capace di coagulare un gruppo di fedelissimi, chiamati a diventare anima di uno spogliatoio. Palese oppure occulto poco importa, di sicuro Roberto Mancini, che della Sampdoria è stato la bandiera per 15 anni, è il punto di riferimento del comitato di salvezza che è stato allestito, il principale artefice di un progetto che da oggi, con la benedizione del presidente Manfredi e non più degli esautorati Accardi (ex responsabile dell’area tecnica) e Semplici (terzo allenatore di una travagliata stagione), deve evitare una vergognosa ma storica retrocessione in serie C. C’era una volta la Samp che festeggiava scudetto o coppe, si gonfiava il petto per fronteggiare il Barcellona in una finale di Coppa dei Campioni e ora è costretta a grattarsi la testa pensando al suo complicato calendario e al Cittadella, avversario nello spareggio salvezza di sabato prossimo.
Roberto Mancini è come l’aria in un salvagente: non si vede, ma c’è. Non sarà annunciato oggi, non figura nel nuovo organigramma, né fra i tecnici, né fra i dirigenti, è un semplice (super) consulente del presidente Manfredi, un aiuto per queste ultime sei sfide, appoggio esterno, si tende a precisare, per dare fiducia ad una piazza depressa e arrabbiata e autostima ai giocatori, ma dentro, nel cuore del salvataggio, ci sono tanti suoi uomini, a partire dal figlio Andrea, di nuovo direttore sportivo come l’anno scorso una volta libero dal Barcellona dove è collaboratore. In panchina arriva Evani, quarto allenatore della stagione, fedelissimo vice del Mancini senior in nazionale, ottimi risultati da secondo dopo una carriera da primo nelle giovanili azzurre. E poi Lombardo, altro eroe dello scudetto del 1991, Gregucci, spesso ombra del tessitore Mancini (era con lui anche in Arabia), Bertelli, preparatore atletico anche con Ranieri, accantonato da Accardi dopo anni in blucerchiato, e Invernizzi, che nuovo non è, perché già presente in questa Sampdoria, ma da adesso in poi dirigente di punta e non più lavoratore ai margini.
Tutti uomini di Mancini e tutti, tranne Gregucci, con un illustre passato blucerchiato alle spalle, necessario argine per il presidente Manfredi, che mai si sarebbe aspettato una classifica del genere, che si è trovato in difficoltà e che ora, grazie a questa rivoluzione, spera di rimettere le cose a posto. Figli di una svolta, più che mai nel segno di Mancini, che arriva al termine di un weekend surreale, del tutto in linea con un campionato fallimentare, 6 vittorie in 32 partite, il sogno promozione da tempo tramontato, la rincorsa play-off anch’essa accantonata, sino ad un incubo serie C terribilmente d’attualità, un fine settimana con la sconfitta nel derby contro lo Spezia, il pullman della squadra che non poteva tornare a Genova, perché ad aspettarlo c’erano tifosi minacciosi, il confino a Coverciano, il lunedì d’attesa, sino al ritorno alla chetichella in serata, quando l’annuncio della svolta era stato consumato e gli animi si erano un po’ placati. La squadra (sparita sul campo e fuori) è riapparsa, con Evani deve risorgere. Permettendo all’affetto di Mancini e dei suoi reduci di trionfare. Più solidi della catastrofe.