La depressione, le minacce, i problemi che si attorcigliavano nella testa e nello stomaco ma che non condivideva con la sua famiglia. Sono stati anni complicati per Paul Pogba, anni di sofferenza e di scelte complicate, di errori e di opportunità sfumate: il calciatore francese, reduce dalla squalifica per doping e pronto a rientrare nel mondo del calcio seppur a 32 anni, si è raccontato a GQ Francia in una lunga intervista. Ha parlato delle difficoltà vissute a Manchester sponda United, con Mou e con la depressione, ma anche a Torino: i continui infortuni, causati anche dai problemi psicologici, i ricatti del fratello Mathias e i problemi cacciati in fondo allo stomaco. Fino al punto più basso, quello della squalifica, e la rinascita: “Le offerte non mancano, anche dall’Europa”, ha raccontato al periodico francese.
Pogba, la rinascita dopo aver toccato il fondo
Servirà sicuramente una controprova, ma dalle parole del Polpo emerge la sua voglia di ritornare il calciatore di un tempo, quello che entusiasmava i suoi tifosi e spaventava gli avversari, che sapeva incantare in campo ma anche trascinare fuori dal rettangolo di gioco. Un campione passato dalla festa dopo la vittoria del Mondiale, davanti a una nazione che lo adorava, fino alla squalifica per doping, al sequestro da parte di quelli che considerava amici, con il coinvolgimento del fratello, alle voci sul marabutto e agli infortuni a raffica: “Tutto questo mi ha dato determinazione in più – ha raccontato -. Mi sento come un ragazzino che vuole diventare professionista. Sono tornato ad essere il piccolo Paul Pogba di Roissy-en-Brieche vuole farsi posto nel mondo del calcio”.
La depressione di Pogba a Manchester e Torino
Nella sua carriera ha speso mascherato con il suo carattere espansivo e con il suo sorriso i tanti problemi che si annidavano nella sua testa. Il calcio “ti prende un paio di ore al giorno”, ma poi la vita ritorna, con tutti suoi problemi e i dubbi legati al pallone ma non solo. Così a Manchester ha conosciuto la depressione, specialmente quando il suo carattere forte si scontrò con un altro, quello di Mourinho. Un contrasto che gli costò il posto in squadra: “Caddi in depressione senza neppure rendermene conto, me ne sono accorto quando ho cominciato a perdere i capelli”. La testa a chiazze dovuta allo stress, condizione vissuta nuovamente a Torino, specialmente nel periodo della squalifica per doping: “Non volevo più restare a Torino. Al mattino portavo i figli a scuola, proprio accanto al centro di allenamento e per me era un dolore. Tutto quello che mi è successo mi ha cambiato. Mi ha ripulito e mostrato la vita vera. Però di colpo sono invecchiato di dieci anni”.
L’estorsione subita e la fine dell’incubo
Se gli infortuni, il doping e la depressione sono stati nemici complicati da affrontare, forse anche per scelte non propriamente condivisibili, subire il tentativo di estorsione, le minacce, e la lunga vicenda legale consapevole che ci fosse di mezzo il fratello è stato ancora più devastante: “Ho nascosto tutto di questa estorsione. Mia moglie non lo sapeva, e nemmeno i miei figli. Quando tornavo a casa dall’allenamento, dovevo recitare la parte del padre e del marito. Tenevo tutto per me. Alla fine, mi ha logorato dentro”. Ecco perché in quel periodo “ho fatto tutto il possibile per restare concentrato sul calcio, ma è diventato troppo difficile. Avevo così tante preoccupazioni che ho smesso di giocare. Eppure ci ho provato. Sapevo che era l’unico modo per farmi dimenticare questi problemi”. Infine la questione doping, con la squalifica prima di quattro anni per l’assunzione di un integratore contenente Dhea, ridotta poi dal Tas: “Se ci avessi messo quattro anni, avrei smesso di giocare a calcio. Non volevo dirlo pubblicamente, ma è quello che pensavo. Mi hanno dato la pena massima, il che significa che non avevano davvero ascoltato nulla di quello che avevo detto loro”.