La spettacolare aneddotica su Giussy Farina, scomparso ieri a 91 anni, è congrua con l’età e il lungo percorso nel calcio. L’ex presidente del Vicenza di Paolo Rossi, in gara per lo scudetto contro la Juve, e poi di un Milan crepuscolare, è entrato nella storia sia come bandiera della provincia, che issò al secondo posto nel 1977-78, sia per avere strappato alle buste alla Juve l’emergente centravanti della Nazionale in partenza per Argentina ’78: 2 miliardi, 612 milioni e 510 mila lire, scrisse lui, 875 milioni la controparte. Quella spesa, che spinse alle dimissioni il presidente della Lega Calcio Franco Carraro, sarebbe risultata fatale alle casse di un piccolo club, anche se, per compensarla, Farina escogitò l’abbonamento biennale.
Farina, l’acquisto del Milan e l’arresto
La vocazione al rischio lo tradì pure nel 1982, quando raccolse l’invito dell’imprenditore brianzolo Felice Colombo ad acquistare per 3 miliardi il Milan, passato dallo scudetto alla retrocessione per il calcioscommesse e di nuovo caduto in B stavolta per la classifica. Inaugurata dalla promozione in A, l’avventura milanista di Farina, che nel 1985 ingaggiò un Pablito martoriato dagli infortuni, sarebbe finita con l’arresto per falso in bilancio. Per raddrizzare la rotta finanziaria le tentò tutte: affittò Milanello per pranzi e matrimoni.
Ricordarne soltanto gli aspetti decadenti o pittoreschi è però iniquo. Si parla di un primattore del calcio, consumato esperto delle compravendite, prima che l’avvento di Berlusconi al Milan, acquisito dallo stesso Farina, segnasse l’ingresso del pallone nel mondo dei diritti televisivi e il tramonto dei presidenti un po’ ruspanti. L’aggettivo non suona come una diminutio per il veneto di campagna Farina, imprenditore agricolo di Gambellara, Vicenza, legatissimo alla terra e figlio di Luigi, vicepresidente nazionale della Confagricoltura. L’arguzia contadina, accompagnata da una laurea in giurisprudenza, era anzi un tratto caratteriale rivendicato con orgoglio e funzionale all’ascesa personale e a una passione coltivata senza posa: presiedere o gestire, possibilmente senza svenarsi, quante più squadre di calcio consentissero le norme dell’epoca, alquanto lasche in materia.
Le squadre gestite da Farina
Arrivò a 11: oltre a Vicenza (1968-1980) e Milan (1982-1986), governò il Padova (1975-1979) e otto club veneti (San Michele Extra, Valdagno, Legnago, Schio, Rovigo, Belluno, Rovereto e Palù). La maggior parte come satelliti del Vicenza, antesignano delle multiproprietà. Non riuscì a comprare Verona e Venezia, ma uno dei suoi sei figli, Francesco, sindaco leghista di Palù, è stato presidente del Modena dal 1984 al 1994.
Quattro mogli e tre tenute in Spagna
Scontata è la narrazione di un Giussy Farina naïf e viveur, quattro mogli, tre vaste tenute in Spagna, Sudafrica e Namibia, oltre a quella di Valmora in Maremma, nota agli addetti al lavori del calcio che a Natale si vedevano recapitare l’immancabile cesto di primizie del territorio: segno di potere e insieme di attenzione ai rapporti, intreccio classico nel calcio d’antan, dove era possibile per un imprenditore di provincia cercare il braccio di ferro con l’avvocato Agnelli e con Berlusconi. Salvo scottarsi, come lui stesso ricordava da ottuagenario nelle rare interviste concesse dal ritiro di Bosco di Zevio, nel veronese.
Parlava più volentieri del suo Paolorossi, tutto attaccato, e del Real Vicenza allenato dal “gentiluomo” GB Fabbri. A chi lo conobbe da giovane avvocato dell’associazione calciatori, il decano dei procuratori sportivi Claudio Pasqualin, spetta la definizione più calzante: “Un uomo di grande intuito. E un Icaro, che si è bruciato le ali quando si è voluto avvicinare troppo al sole”.