TORINO — La Juventus adesso ha paura, perché i risultati dell’ultima giornata hanno fatto saltare per aria la tabella Champions, che prevedeva 12 punti in 6 partite nella convinzione che nessun altro ne avrebbe fatti di più: tra il gol di Orsolini e quello di Pellegrino le prospettive sono invece radicalmente cambiate, e può essere che il non preventivato sorpasso del Bologna abbia in qualche modo fomentato la preoccupata confusione con la quale la Juve è poi scesa in campo a Parma, oltretutto dopo aver speso tre giorni a rimuginare sull’idea del sorpasso rossoblù. I bianconeri immaginavano di poter in qualche modo gestire i due confronti diretti in casa di Bologna e Lazio: nei piani avrebbero potuto/dovuto presentarsi il 4 maggio al Dall’Ara con quattro punti di vantaggio, ora invece rischiano di arrivarci stando sotto in classifica e quindi passando a Italiano l’impugnatura del coltello.
I limiti tecnici e mentali dela Juventus
Parma ha riproposto tutti i limiti tecnici della Juve, a cominciare da quelli di due centravanti che non segnano da oltre due mesi, ma specialmente quelli mentali, che d’altronde si trascinano ormai da anni: sono quelli con cui ha dovuto cozzare Allegri e che Thiago Motta sperava di compensare cambiando non la forza mentale ma la mentalità, senonché la squadra ha finito per rifiutare i suoi metodi: l’effetto Tudor, dovuto principalmente al rasserenamento di un ambiente depresso, è durato molto poco e i ritocchi tattici (meno palleggio e più verticalità) sono risultati inefficaci a fronte della fragilità psicologica di una squadra che le difficoltà finisce sempre per subirle.
Juve, c’è chi rimpiange Allegri
Tudor ha spiegato il disastro di Parma parlando soprattutto di questo: “Non si vince con gli schemi, con i sistemi, con le combinazioni, ma soprattutto con altre cose. Bisogna crescere dal punto di vista mentale, in cattiveria, nel non concedere nulla se non riesci a segnare. Ci vorrebbe, come posso dirlo, più italianismo”. In definitiva, dopo una rivoluzione filosofica abortita prima di cominciare a capirla, sta affiorando il rimpianto tacito dell’allegrismo se non proprio direttamente di Allegri, ferocemente criticato da tifosi che adesso sospirano: “Almeno con lui il traguardo minimo lo raggiungevamo”.
Vlahovic, il simbolo in negativo
La società è meno sensibile a questo tipo di rimpianti. Si ricordano piuttosto le macerie tecniche ed economiche lasciate dalla gestione precedente, quella di Agnelli e Paratici che ha costretto la società a ripetuti aumenti di capitale per mantenere faticosamente la linea di galleggiamento finanziaria. Vlahovic è forse l’esempio negativo più lampante: è stato l’oggetto di un’operazione dai costi esorbitanti (il serbo è tutt’ora il calciatore più pagato della serie A e l’acquisto più costoso) e dalla resa scadente, tant’è che oggi il centravanti serbo è un problema dalla soluzione quasi impossibile, visto che non ha né mercato né incidenza in campo. È solamente un costo spaventosamente alto: i suoi impacci nel controllare la palla e i frequenti scatti di nervosismo (a proposito di mentalità) spiegano molto di quello che la Juventus è diventata.