BOLOGNA – Durante un Verona-Juventus, novembre 2001, Vincenzo Italiano dal campo urlò al suo allenatore, Alberto Malesani, «sei un genio!». Cose che non capitano spesso, no. È fatto così. «Beh era un genio davvero, lo avevo capito dopo una settimana di ritiro», conferma oggi. Per la cronaca: vincevano 2-0, Italiano fu sostituito al 70’ e finì 2-2, il Verona poi retrocesse.
«Italiano era un gran giocatore», ricorda Malesani, oggi in pensione a 71 anni, cantina di vini venduta nel 2023: «Un mediano intelligente ed elegante, più Pirlo che Gattuso. Era allenatore fin da giocatore, si vedeva dalle doti tattiche e da quanto fosse interessato, molto interessato, a quello che facevamo. Ora è tra i migliori tecnici italiani e anche stranieri. Si vede sempre la sua mano ovunque vada, si è evoluto e anche estremizzato, ma finché funziona bravo lui».
Quattro finali giocate nel giro di due anni solari, dal 2023 al prossimo 14 maggio all’Olimpico, sono una conferma. Meglio, ovviamente, vincerne anche una, prima o poi, dopo le tre perse con la Fiorentina: «Quando ripenso al percorso fatto – ammette Italiano – mi si stempera l’amarezza per le sconfitte. Il Milan è favorito, ma noi abbiamo tutte le carte per giocarcela senza pressione» bluffa un po’, perché la classifica in campionato dice altro e lo spettro di una quarta finale perduta non può non spaventarlo. Qui ha un popolo che gli soffia maestrale nelle vele e nelle vene, innamorato dal gioco, dai risultati e dal temperamento focoso, gladiatorio, verace.
Ai bolognesi ricorda Mazzone, che nel 1999 issò il Bologna di Signori alla semifinale della Coppa Uefa (quella poi vinta da Malesani col Parma…). Lunedì, in casa dell’Udinese, non sarà in panchina avendo ricevuto contro l’Inter la prima espulsione in carriera da allenatore: quando ha sentito il vice di Inzaghi, Farris, lamentarsi dei falli sistematici del Bologna, Vincenzo da Ribera non ci ha visto più e gli è andato sotto il naso.
Il rapporto con Bologna è ormai torrido. Entrambi agognavano un’overdose d’amore, bistrattato lui a Firenze e traditi loro dal gelido Motta. «Il suo grande pregio – descrive il ds Marco Di Vaio – è l’intensità, anche nel modo di comunicare alla squadra. Fuori dal campo è un uomo sereno, capace di ascoltare, ma dentro trasmette una ferocia sportiva che si riflette nella mentalità, nel gioco, nell’emozione collettiva. Poi è preparatissimo e il suo staff è molto più incentrato sulla sua figura, rispetto a quello di Thiago: ascolta tutti, ma decide lui, è lui la locomotiva di tutto».
Il Bologna è la squadra italiana che ruba più palloni in attacco: «È maturato», afferma l’ex ct Claudio Prandelli, tra i primi a puntare sul giocatore Italiano a Verona: «Ora bada più al soldo, pressing che stordisce gli avversari, meno ricami e grande sostanza. A Firenze ha fatto grandi cose, poi le finali si perdono ma conta giocarle. Da ragazzino mi colpì la verticalità che metteva nel giocare davanti alla difesa, la stessa che mette ora nel suo gioco da allenatore».
Che il Bologna – quarto in campionato a cinque turni dal termine e in finale di Coppa Italia dopo 51 anni – potesse far meglio dell’anno scorso non ce n’era uno che potesse davvero crederlo: «È stata una bella scommessa, questa era la panchina più scomoda della serie A», rivendica sempre Italiano, che in realtà a Firenze sperava in una chiamata del Napoli.
«Lo abbiamo scelto – dice l’ad rossoblù Claudio Fenucci – per il suo calcio aggressivo, intenso e dominante, in continuità con la stagione precedente. Poi perché aveva sempre fatto bene ovunque fosse andato e aveva dimostrato di saper gestire tre competizioni. Sul lato umano e caratteriale siamo rimasti colpiti dall’apertura e dall’empatia. La sorpresa è che abbia confermato tutto questo sul campo, e non era facile entrare nella testa di una squadra che veniva da una stagione straordinaria e non doveva riscattarsi: ha convinto i calciatori invece con la qualità del lavoro a cambiare totalmente ed è stato questo il fattore vincente».
Lo ha ribadito il capitano Lorenzo De Silvestri, svelando la diffidenza iniziale del gruppo: «Quando per esempio mi ha escluso dalla lista Champions, che pensavo di aver meritato, il colpo è stato duro. Per qualche giorno in campo non ero più io. Mi ha chiamato, ci siamo detti cose che restano nostre, ci siamo fatti promesse che abbiamo mantenuto: il mister è un grande».
Il Napoli potrebbe chiamare ora, dicono, ma il Bologna – già pronto a prolungare il contratto in scadenza nel ’26 ancor prima dei verdetti stagionali – si sente ragionevolmente sereno sulla permanenza di Italiano. Il precedente con lo Spezia non è confortante (rinnovo firmato il 2 giugno, fuga a Firenze il 30…) ma la situazione era ben diversa. E Italiano ripete a tutti che come sta a Bologna, mai altrove nella vita. Cose che si dicono, in overdose d’amore.