MILANO — Da una parte, lo specialista degli scudetti, che mal sopporta le distrazioni, soprattutto quando si presentano sotto forma di coppe da giocare in settimana. Dall’altra l’allenatore che non pone limiti a sé e alla sua squadra, e se gli si chiede di scegliere fra questo e quel torneo, risponde: «Vogliamo vincere tutte le partite». Antonio Conte contro Simone Inzaghi. A separarli sono tre punti in classifica, a favore del primo, e una filosofia di vita.
Al Napoli, padrone del proprio destino e in testa per 23 giornate in questa stagione, bastano 10 punti per la certezza dello scudetto. Vincendo oggi, se l’Inter dovesse frenare ancora, si troverebbe a giocarsi il primo teorico match point già nella prossima giornata. I nerazzurri devono invece vincere e sperare che gli azzurri non facciano altrettanto. In questo sabato bestiale, alle 18 il Napoli scenderà in campo a Lecce, , poi dedicherà una settimana per preparare la sfida in casa al Genoa. Alle 20.45 l’Inter riceverà il Verona a San Siro, con più di un occhio a martedì, quando a Milano arriverà per il ritorno della semifinale Champions il Barcellona della baby superstar Lamine Yamal, dopo il 3-3 dell’andata. Un’impresa per cui Conte in conferenza ha fatto i complimenti all’Inter, aggiungendo: «Che loro siano lì, dimostra che noi stiamo facendo qualcosa di straordinario».
In accordo col suo credo, Antonio tiene tutti sulla corda: «Di scudetti ne ho vinti e persi nelle ultime partite: serve umiltà», ammonisce. Senza Buongiorno, Neres e Juan Jesus, gli azzurri se la giocheranno con il 3-5-2 e Olivera centrale difensivo. «Siamo in Champions, è quel che volevamo. Ora proviamo l’impresa», dice Conte, che con la qualificazione all’Europa che conta ha incassato 2,5 milioni di bonus.
L’Inter dei suoi migliori giocatori farà a meno per scelta. Ci saranno solo Sommer e Bisseck dell’undici iniziale del Montjuic. Gli altri riposeranno, in vista di martedì. Discorso a parte merita Lautaro, uscito dolorante in Catalogna per l’elongazione dei flessori della coscia sinistra. Per il pieno recupero ci vuole una settimana, ma gli interisti, lui stesso e il suo allenatore sono sognano di vederlo in campo fra tre giorni. Una piccola speranza c’è.
Conte tornerà per l’ennesima volta da avversario nello stadio dove probabilmente si sente meno a casa. Lecce è la sua città e la ama, ma il pubblico giallorosso non gli perdona le esultanze da allenatore del Bari, soprattutto, e anche dell’Inter. All’opposto Inzaghi, che ha patteggiato una giornata di squalifica per i contatti con la tifoseria organizzata, siederà in tribuna in uno stadio che lo riconosce ormai come padrone di casa. Prolungando fino al 2027, diventerebbe il secondo tecnico più longevo nella storia dell’Inter. Lui di contratti non parla, lascia che a farlo sia il presidente Marotta: «Come si fa a rinunciare a uno così?», ha risposto prima della partita di Barcellona. Per quanto riguarda Conte, il futuro è sempre materia di negoziazione. Non basta metterlo a contratto, per avere la certezza che resti. Come i marinai e i pellegrini, ha sempre con sé la valigia, e non passa settimana senza che lasci intendere che potrebbe partire.
È proprio nelle dichiarazioni che i due allenatori — uniti dal 3-5-2 — differiscono. Se per Conte il microfono è lo strumento per chiedere pubblicamente investimenti e protezione, Inzaghi dai tempi della Lazio ha imparato che meno critichi chi ti paga lo stipendio e meglio stai. Per il mercato, esiste la camera caritatis. Quest’anno sarà più ricco del solito, anche perché i nerazzurri hanno vinto al Tas la causa contro lo Sporting Lisbona per il cartellino di Joao Mario, che sarebbe potuta costare 30 milioni. Così, se il salentino talvolta è accusato di mettere le mani avanti, il piacentino viene tacciato di aziendalismo da quei tifosi che apprezzano i tecnici dalla voce grossa, quando si tratta di convincere i padroni a tirar fuori soldi per mezzali e centravanti. Ma di mercato si parlerà poi. Intanto ci sono da battere Lecce e Verona. Tanto Conte quanto Inzaghi hanno l’esperienza per sapere che, nei finali di stagione, di chi si gioca la salvezza non c’è da fidarsi.