MILANO – Cercando fra i ricordi di una carriera lunga vent’anni, Aldo Serena, l’uomo degli scudetti con le tre grandi e di Italia Novanta, non trova niente del genere. “Una partita così a me non è mai capitata. E non c’è nulla di strano. Un’Inter-Barcellona 4-3 succede una volta ogni due o tre generazioni di calciatori. Si può attraversare una vita nel pallone, felice ed emozionante, senza trovarsi in campo in una notte così”, dice. Quando gli si chiede di spiegare quel “così”, argomenta: “C’è tutto: il vantaggio e lo svantaggio, la gioia, il dolore, di nuovo la gioia. Un’impresa simile, per i calciatori e per l’allenatore dell’Inter è un’epifania. Hanno una nuova consapevolezza, che nessuno toglierà loro. Hanno scoperto di poterlo fare, vorranno farlo di nuovo”. La partita di San Siro, che porta in sé la premessa necessaria del 3-3 al Montjuic, è già storia del calcio, al fianco di altre gare che, senza assegnare titoli, hanno cambiato metri, giudizi, vite. Chi c’era, ci sarà per sempre. “I protagonisti realizzeranno da vecchi cosa hanno dato quella sera al nostro sport. Frattesi, quando avrà i capelli bianchi, capirà il senso di quello svenimento in campo causato dal troppo urlare, dopo un gol nei supplementari segnato col piede non suo. C’è qualcosa più del calcio”. C’è tempo. Per ora il diretto interessato, alla tv inglese, ha spiegato: “Ho segnato, perché se non segnavo ero fottuto”.
Un altro 4-3
A ricordare l’altro 4-3 — “il” 4-3 — è una targa di metallo allo stadio Azteca. E cinque parole, scandite da Nando Martellini: “Che meravigliosa partita, ascoltatori italiani”. Cinquantacinque anni dopo, ad altre latitudini, il risultato è lo stesso ma non il sentimento. Il gol di Rivera al 111’ unì un Paese. Quello di Frattesi al 99’ inevitabilmente lo divide fra chi tifa Inter, chi le ha tifato contro, e chi l’ha tifata per quella sera soltanto, perché non farlo era impossibile. Come in Juventus-Atletico Madrid 3-0 agli ottavi di Champions del marzo 2019. Come in Liverpool-Borussia Dortmund 4-3 (di nuovo) ai quarti di Europa League nel 2016, quando i Reds risalirono da un 3-1 contro.
Moratti: “Eroico”
Inter-Barcellona ha cambiato la dimensione delle cose e delle persone. È più grande la squadra nerazzurra, anche oltre il primo posto nel ranking Uefa. È più grande il suo allenatore, il cui progetto stagionale, “vogliamo vincere tutte le partite in tutte le competizioni”, suona ora perfettamente ragionevole, perché forse solo da idee così nascono emozioni simili. Sono più grandi i calciatori, meritevoli ciascuno a modo suo di quell’epiteto — eroi — che Mourinho nel 2010 regalò ai suoi, sempre nel ritorno di una semifinale di Champions, sempre col Barcellona. Persero e passarono. “La partita di ieri sera è diversa, perché si è vinto, ma mi ha ricordato quella di quindici anni fa. Abbiamo vissuto ogni sentimento, fino al pareggio nel recupero, eroico”, ha detto in tv Massimo Moratti, che nell’impresa del Triplete mise testa e soldi.
Gli eroi del 6 maggio
Gli eroi del 6 maggio 2025 sono Lautaro, che ha segnato da ferito, Taremi, che con pochi minuti di bellezza ha dato senso a una brutta stagione, Sommer, lo svizzero volante. E Acerbi, tatuato, non sempre corretto, a fargli un complimento, ma capace di pensare l’inimmaginabile. «Lassù non l’ho mandato io, ha fatto tutto lui», ha detto Inzaghi, commentando l’unica palla toccata dal suo centrale in area avversaria. “I compagni lo prenderanno in giro per sempre. Gli diranno che fino a quel 3-3 nel recupero lui, difensore mancino, il destro l’aveva usato solo per schiacciare il freno in macchina. E così, gli ricorderanno che l’ha fatto davvero: a un passo dalla pensione, ha portato l’Inter in finale, contro avversari più forti ma meno bravi”, dice Fulvio Collovati, che all’Inter ha giocato ed era in campo il 5 luglio 1982. Italia Brasile 3-2, stadio Sarrià, Barcellona. In quella spedizione c’era anche Spillo Altobelli, che di fronte a Inter Barça 4-3, con sua sorpresa, si è trovato a empatizzare con gli sconfitti. “Ho tifato Inter — dice — ma mi metto nei panni di Pedri e compagni. Hanno dato il massimo. Nella foto di una notte irripetibile sono anche loro. Non saranno mai più gli stessi. C’è un prima e un dopo. Vorranno la rivincita. Impareranno la lezione. Intanto, tutti insieme, hanno regalato al mondo la certezza di avere un nuovo campione: Lamine. Vedrete, lo chiameremo così. Lamine e basta. Come Cristiano. Come Leo”.