Il dna inganna, illude, depista. Figliolanza, fratellanza e stretta parentela solo per l’anagrafe, non certo per il campo. Radici, però quelle del campo, che – nei casi più imbarazzanti – finiscono per essere sradicate quando i figli e i fratelli di un dio minore calciano il pallone. Quelli che non ce l’hanno fatta. Nonostante il cognome, o perché pesava troppo. In teoria Maxim Gullit – figlio di Ruud e nipote di Johan Cruyff (zio di sua madre Estelle) – ai blocchi di partenza aveva tutto per sfondare. Ma dopo un percorso nelle squadre giovanili, ai blocchi è rimasto e a ventiquattro anni non ha ancora trovato residenza nell’album di famiglia. Nel mezzo del cammin della sua carriera si è ritrovato in una selva oscura: svincolato, senza squadra da due anni, forse si è ritirato, o sta aspettando un’altra occasione. Quelli che ci hanno provato, ma hanno preso il palo. Andrea Mancini, figlio di Roberto, oggi è il ds della Sampdoria. Le giovanili del Fano, la seconda squadra di Budapest, una comparsata nei Cosmos di New York: carriera dimenticabile, stagioni spese in vani tentativi.
Da Beckham a Ronaldinho, il Dna non sempre è una garanzia
E così per ogni figlio d’arte che mantiene fede alle promesse, ce ne sono millanta che spariscono, inghiottiti da altre vite. Ronaldo il Fenomeno qualche anno fa, dopo la vasectomia, rivelò di aver congelato il suo sperma e giurò di averne abbastanza per un’intera squadra di calcio. La battuta, in taluni casi, suona come una minaccia. Brooklyn Beckham, Diego Armando Sinagra Maradona Junior, Calum Best, Roman e André Rummenigge, Joao Mendes Ronaldinho: sono tutti accomunati dallo stesso destino che li ha visti schiacciati dal peso del confronto. Hanno curriculum sbilenchi, sono stati cittadini dalla residenza incerta in un villaggio – quello del pallone – dove non esistono figli di papà. Perché il calcio è uno sport democratico. Anche se qualche scorciatoia è prevista, se non vali magari parti – esempi ce ne sono – ma di sicuro non arrivi. Un esempio? Digao, il fratello di Kakà. Rimini, Milan, Lecce, Crotone, media di quattro scampoli di partita all’anno, vedi alla voce regalini. Inadeguato come pochi. E’ stato figurina, ha rimediato solo figurine.
I fratelli di Maradona
Hugo e Lalo Maradona, ricordate? Bravi ragazzi, ma riproduzioni taroccate del più grande di tutti i tempi. Il povero Hugo detto “El Turco” – se n’è andato qualche anno fa poco più che cinquantenne – ebbe pure un passaggio all’Ascoli, nella Serie A di fine anni 80. Diego lo raccomandò a Ferlaino che lo suggerì, diciamo così, al collega presidente del club marchigiano Costantino Rozzi. El Pibe de Oro accompagnò l’arrivo in Italia del fratello con una sentenza-boomerang: “E’ più forte di me”. E mai uno che li metta in guardia: lascia perdere, da te si aspettano troppo, forse non ne vale la pena. Prendete Christian Totti. Ha ragione suo padre quando dice: “E’ un ragazzo come gli altri, ha il diritto di sognare”. Sogna ragazzo sogna. Si fosse chiamato Christian Pirimpero o Christian Van der Totten forse avrebbe avuto modo di costruire da sé una carriera più credibile, ma queste sono fughe da fermo, e mai per la vittoria. Ogni tanto buon sangue mente.
Ora tocca a Cristiano Ronaldo Junior e Thiago Messi
Aspettiamo di capire cosa combinano Cristiano Ronaldo Junior (per lui prima convocazione nell’Under 15 del Portogallo) e Thiago Messi, per sapere se davvero la saga che per quindici anni ha visto duellare i loro padri andrà di replica. E allora forse la scelta migliore l’hanno presa, loro come tanti altri che preferiscono optare per la strada del bosco meno battuta, i figli di Baggio: Leonardo e Mattia hanno giocato a calcio per divertimento, solo per divertimento.