Alessandro Calori, ma a Perugia sta ancora piovendo?«Forse sì, in fondo quel diluvio dura da 25 anni. Feci gol al volo alla Juve e le tolsi uno scudetto all’ultimo respiro, io, tifoso juventino, cresciuto nel mito di Scirea. Non fu una partita, ma un segno del destino».
Era il 14 maggio 2000, la Juve di Ancelotti all’ultima giornata aveva due punti in più della Lazio: perse il campionato.«Fu assurdo, vivemmo dentro una bolla. Un’ora e un quarto di sospensione tra il primo e il secondo tempo, Collina che telefonava e chiedeva cosa fare, noi nel tunnel che pareva un lago ad aspettare, la Juve che poi prese gol e capì immediatamente di essere caduta dentro una maledizione da cui non si esce. Ma non è vero che ci chiesero di rallentare: stavano tutti zitti, quasi increduli. Oggi ripenso che c’erano Materazzi, Zidane, Conte, Ancelotti…».
Ce lo racconti, allora, quel gol.«Respinta corta di Conte, palla verso di me, la stoppo di petto e al volo la calcio nell’angolino. L’avessi lasciata cadere, sarebbe scappata via. Van der Sar era coperto da Montero: non la vide neanche partire. Io la colpii d’esterno, a girare: imparabile».
Lei non era mica un fuoriclasse.«Un difensore ruvido. Crescendo, diventai un buon libero nella difesa a tre. Quell’anno segnai 5 gol. Uno, bellissimo, a Buffon, a Parma».
Cosa significa quel 14 maggio?«In estate qualcuno mise in giro la voce che io fossi l’autore di una lettera anonima a Famiglia Cristiana su presunte combine nel campionato precedente. Pure invenzioni, ci ho messo otto anni per convincere che non c’entravo niente. Mi diedero del traditore, dell’infame. Il gol alla Juve fu il mio risarcimento dopo mesi terribili: il destino esiste».
Da un quarto di secolo ci si chiede se fu giusto riprendere a giocare. Lei cosa ne pensa?«Beh, forse gli juventini non avevano tutti i torti a lamentarsi… Una pausa così lunga non si era mai vista, oggi sarebbe impossibile immaginarla. Quel diluvio mi sembrò biblico: l’acqua scese dal cielo a lavare tante cose, comprese le cattiverie dette su di me».
Gaucci e Mazzone.«Il presidente nello spogliatoio prima della partita disse: “Il mondo ci guarda, mi raccomando”. Poi minacciò di mandarci tutti in Cina se non avessimo fatto il nostro dovere. Però Mazzone rispose che mica ci saremmo andati… Carletto era unico, si vantava di avere vinto per tutta una carriera lo scudetto della lealtà e aveva ragione».
Pessotto sull’1-0 per voi dice all’arbitro che una rimessa già assegnata alla Juve è del Perugia.«Una lezione di fair play incredibile, da parte di un uomo speciale. Una cosa alla Scirea».
Lei è molto amico di Guardiola.«Tutto è nato quando giocavamo insieme nel Brescia, e Pep venne da noi a conoscere l’umanità. Un bravissimo ragazzo, un perfezionista persino maniacale, e questo provoca sempre sofferenza a chi è fatto così: essere speciali costa parecchio. Quando vinse la Champions a Roma, portò tutti gli amici a mangiare insieme. Ce ne sono pochi come Pep, e mi spiace che adesso in tanti siano saltati giù dal suo carro. Guardiola è nella storia, ha rivoluzionato il calcio come Sacchi».
Come finisce venerdì? Conte farà un altro rinvio troppo corto?«No, stavolta non penso che Antonio possa perdere lo scudetto. Lo stadio di Napoli spingerà in porta i palloni».
Lei ora fa l’allenatore. Una vocazione?«Sì, anche se sono fermo dopo avere guidato la Primavera della Lazio, due anni fa. Mi piace trasmettere esperienza ai ragazzi, io li ritengo migliori di come eravamo noi, più svegli, più veloci nel fare e nel capire. Ma anche molto più fragili dentro».