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Luis Enrique, la disciplina di chi al Psg ha spento le stelle per prendersi la luna

La coppa era l’ossessione della proprietà del Qatar
dal 2011: hanno fallito miti come Ibra, Messi, Neymar. Poi, partito anche Mbappé, il gruppo è sbocciato

Parigi – Senza nessuna concessione alla scaramanzia e con la dovuta presunzione di ogni francese che si rispetti (anzi di ogni parigino, specie di ogni parigino ricco), il Paris Saint-Germain aveva già programmato la festa ancora prima di cominciare. Con preveggenza, Macron si era tenuto l’agenda libera per le 18 della domenica, l’ora migliore, cioè quella di massima visibilità, per ricevere all’Eliseo la squadra reduce dalla sfilata sugli Champs-Élysées, dove ieri sera centinaia di migliaia di persone hanno festeggiato il trionfo sorvegliate dalla Tour Eiffel illuminata a tre colori, guarda caso gli stessi del Psg e della bandiera francese.

Un successo che la proprietà inseguiva da 14 anni

La Champions era l’obiettivo che la proprietà qatariota inseguiva dal 2011, quando ha messo le mani sul club della capitale, fino a quel momento non proprio un riferimento storico del calcio francese (quelli erano il Marsiglia, il Monaco, il Saint-Étienne, il Nantes, il Bordeaux): hanno pompato sul mercato quasi un miliardo e mezzo per rendere il Psg un soggetto glamour, che ha fatto da collettore al tifo sparso di periferia e a quello degli appassionati internazionali attratti dallo charme di Parigi, prima che da quello della squadra. Al Parco dei Principi ci sono curve popolari, e popolate dai ragazzi delle banlieues, e tribune di ricconi in passerella. È curioso che la grande coppa sia arrivata adesso che aveva smesso di essere un’ossessione: l’hanno coltivata vanamente stelle e stelline brillanti o cadenti, da Ibrahimovic a Messi e da Neymar a Mbappé, l’ha risolta un gruppo di ragazzi messi in riga da Luis Enrique, l’unica vera star del Psg odierno, punto di riferimento non solo tecnico. L’unico reduce della finale del 2020, e unico sopra i 30, è Marquinhos. Gli altri hanno ancora il futuro che li aspetta.

Luis Enrique ha dato l’umiltà necessaria per vincere

A Parigi si sono alternati allenatori celebri (Ancelotti, Emery, Pochettino, Tuchel) e dirigenti di vaglia (il più stabile, Leonardo) che hanno replicato tutti gli stessi errori o sono tutti caduti nella stessa trappola, finendo prigionieri di quell’allure troppo snob che ha sempre tolto alla squadra l’umiltà necessaria per confrontarsi con le massime potenze internazionali, un vizio che il club ha sempre tollerato e in qualche modo addirittura incoraggiato, lasciando per esempio che Messi passeggiasse in campo, che Neymar furoreggiasse fuori, che le paillettes venissero più considerate della costanza dovuta al sudore e alla fatica.

La svolta senza le bandiere storiche

Luis Enrique ha fatto una rivoluzione. Ha sfalciato la squadra degli individualismi, spingendo via anche storiche bandiere come Verratti, mandato riccamente a svernare in Qatar, imponendo la svolta etica e culturale che ha ribaltato la filosofia parigina (se ci sono palate di milioni da spendere, che si spendano per i ventenni migliori in circolazione) e costruito una creatura a sua immagine e somiglianza. Non deve neanche più imporre la disciplina perché quella ormai si impone da sé, i giocatori lo seguono con una dedizione impensabile e la cosa più impensabile è che lo segue con dedizione assoluta anche il club, che invece in passato aveva spesso abbandonato gli allenatori a loro stessi.

Il caso Mbappé, l’unico non gestito da Luis Enrique

Lucho ha spesso la prima e sempre l’ultima parola su acquisti e cessioni, Lucho monitora il settore giovanile e decide chi far affacciare in prima squadra, Lucho ha seguito passo passo il progetto del fantastico nuovo centro sportivo di Poissy (dove ha vissuto, giorno e notte, per più di un anno) indicando tutte le esigenze che aveva, inclusa tutta una serie di diavolerie tecnologiche, Lucho è la voce del club perché i messaggi che devono passare li fa passare lui in conferenza stampa. Solo su un tema ha dovuto cedere, nell’estate 2023: fu Al-Khelaïfi in persona a decidere di mettere fuori rosa Mbappé quando si rifiutò di rinnovare il contratto. Per Luis Enrique si tratta del secondo triplete in carriera ma è il primo veramente suo. Il Barcellona del 2015 era una formazione così forte da essere praticamente perfetta, aveva Messi-Suarez-Neymar davanti, Rakitic-Busquets-Iniesta (e Xavi di scorta) a centrocampo, Dani Alves-Piqué-Mascherano-Jordi Alba in difesa. «Tutti mi dicevano che con quella squadra era facile vincere, ma non era così. Oso dire che feci un lavoro straordinario». Questo invece è un capolavoro.

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