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Ventura: “Io sono passato da un Mondiale mancato e vi dico che i problemi dell’Italia sono profondi”

L’ex ct azzurro, fuori da Russia 2018 dopo lo spareggio con la Svezia. “L’esclusione da quella Coppa del mondo fu un dramma epocale. Nel 2022 invece sembrò un incidente di percorso. Il guasto ormai è di sistema, non alleviamo più talenti, è come se ai ragazzi avessero vietato il dribbling”

TORINO — Le onde altissime di un oceano in tempesta, gli azzurri che già affondano, il panico di non andare nemmeno stavolta ai Mondiali, e sarebbe il fallimento numero tre. Il primo, nel 2017, con Gian Piero Ventura al timone.

Ventura, è uno scenario possibile?

«Nessuno si sarebbe aspettato una caduta simile, non così. Io, comunque, continuo a pensare che il calendario possa permetterci una goleada contro la Moldova, una vittoria contro Israele e la possibilità di battere bene la Norvegia a novembre, quando il nostro calcio di solito corre più che a giugno. Però, di scontato non c’è nulla».

Lei visse da commissario tecnico la prima eliminazione ai play-off da una fase finale della Coppa del mondo: ci sono paragoni?

«Noi perdemmo due partite in due anni, e una di queste contro la Spagna che era la nazionale più forte del pianeta. E purtroppo non abbiamo avuto la possibilità di raddrizzare il cammino. Inoltre, per la prima volta nella storia si qualificava solo la vincente del gruppo. Eppure, la nostra eliminazione venne vissuta come una catastrofe».

Il percorso, da lì in avanti, è stato pessimo per l’Italia, a parte un Europeo vinto in modo entusiasmante ma abbastanza casuale. I motivi?

«Il problema è di sistema: prima o poi qualcuno lo capirà. In Italia non si allevano più i talenti, è come se avessero vietato il dribbling, nessuno salta più l’uomo. Se non andiamo ai Mondiali da due edizioni, se l’anno scorso abbiamo disputato il peggior Europeo della nostra storia e se siamo riusciti a prendere tre gol in Norvegia, il guasto è più profondo».

Crede che Spalletti a Oslo potesse intervenire nella gara in modo diverso?

«Luciano è un amico, è stato anche un mio giocatore all’Entella e allo Spezia e gli auguro di riprendersi presto. Mi fa ridere sentire commenti tipo “il ct doveva mettere qualcuno migliore nell’uno contro uno”. Ma chi? Forse l’unico a saperlo fare è Orsolini. A dire certe cose sono le stesse persone che ci spiegavano come il football fosse diventato fluido».

Pensava che in Norvegia potesse finire così?

«Sinceramente no».

Cosa attende ora gli azzurri?

«Non potranno essere sereni, però il calendario non è drammatico. Noi italiani sappiamo esaltare e distruggere in un attimo, siamo catastrofisti per natura: mi sembra grottesco. Magari qualcuno adesso dirà che è colpa mia anche questo tre a zero, oppure l’eliminazione contro la Macedonia del Nord…».

L’Inter, e poi Oslo: stiamo parlando dello stesso problema?

«No, i nerazzurri erano soprattutto stremati».

Il campionato le è piaciuto?

«Non ricordo neppure una partita davvero bella, ha dominato la noia».

Ripensando al suo addio azzurro, cosa la amareggia di più?

«Sono sereno, è tutto passato, anche se qualche comportamento scorretto nei miei confronti si poteva evitare. La nostra eliminazione venne considerata un fatto epocale, e quattro anni dopo solo un incidente di percorso. Non potevo dire di no all’azzurro, sono nato con la cultura della Nazionale, ricordo persino chi mi stava accanto la sera di Italia-Germania 4-3, e la gioia che provai la sera di Berlino. Va bene così. Ho vissuto di calcio, ho avuto la vita che volevo e che mi ha reso felice».

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