Le parole che muoiono in gola a Spalletti e il vuoto di un’assenza al suo fianco, l’Arabia Esaudita, la fuga di Ferragosto e le dimissioni via Pec di Mancini, le otto mensilità che l’esonerato Ventura pretendeva da Tavecchio a Mondiale appena toppato, il congedo tra gli applausi di Conte – “Non è un addio ma un arrivederci” – un attimo dopo l’eliminazione da Euro 2016, ma l’onore era salvo e c’era in giro un motivato ottimismo.
Zoff, Zidane e Berlusconi
Panchine e poltrone della Nazionale, com’è dura dirsi addio. Giorni concitati in cui, da sempre, si consuma la solitudine dei commissari tecnici. Ci si sfila in molti modi. Di propria sponte o perché cacciati, anzi sollevati dall’incarico che fa meno male o persino con una rescissione consensuale, che però uno voleva più dell’altro e allora di consensuale che c’è? Ci si lascia con nobiltà o livore, sgattaiolando di notte o accompagnati alla porta – prego, quella è l’uscita – schivando il lancio dei pomodori – andava di gran moda una volta, chiedere a Edmondo Fabbri dopo la Corea nel 1966 – o reagendo con dignità al dito puntato di chi accusa di non aver fatto marcare Zidane da Gattuso: Dino Zoff, quella volta che si offese alle parole di Silvio Berlusconi, dopo la finale di Euro 2000 persa con il golden gol contro la Francia.
Quasi sempre si arriva all’addio cavalcando l’onda di indignazione del paese a fallimento certificato. Tu quoque, Cittì. Poi parte la giostra: si ripensa al futuro della nazionale, si chiede collaborazione ai club (risate preregistrate modalità sit-com), si ipotizzano progetti concreti, ecco, concreti è un aggettivo che va molto di moda quando è il tempo delle premesse/promesse.
Le dimissioni di Prandelli e Abete
Con un gesto di grande responsabilità Cesare Prandelli e l’allora presidente FIGC Giancarlo Abete si dimisero in conferenza stampa, dopo l’ingloriosa uscita di scena – contro l’Uruguay – dal Mondiale brasiliano del 2014. Le parole con cui Prandelli rimise il suo mandato andrebbero incise su una targa da esporre a Coverciano. “La responsabilità è solo mia. Il progetto tecnico è fallito. Mi dimetto”. Gigi Buffon, portiere di quell’Italia, disse che “la decisione di Prandelli conferma il suo spessore umano”.
Il Lippi-bis naufragato in Sudafrica
Quattro anni prima era toccato al Lippi-bis, sconfortato dopo l’eliminazione al Mondiale di Sudafrica 2010. “Se una squadra si presenta con il terrore nelle gambe e nella testa la colpa è di chi la allena. Quindi la colpa di questa figuraccia è solo mia”. In questi casi il tifoso si adagia sugli slogan: paga sempre l’allenatore. Quindi si interroga: e chi altrimenti deve pagare? Colpa di tutti, colpa di nessuno. Nelle cronache del giorno dopo lo strappo, il C.t. ha sempre bisogno di “metabolizzare un passaggio a vuoto eccetera eccetera…”.
Donadoni e il destino segnato
Donadoni – eliminato dalla Spagna a Euro 2008 – sapeva di avere un destino segnato. Con pragmatismo tutto bergamasco disse: “Sono due anni che si parla di Lippi al mio posto…”. Era capitato sulla panchina della nazionale “per tutto un complesso di cose” dopo il buio di Calciopoli, ma era chiaro a tutti che i vertici della FIGC non vedevano l’ora di toglierselo di torno. Abete telefonò prima a Lippi – “Marcello, siamo d’accordo, torni?” – e poi a Donadoni: “Roberto, grazie di tutto…”. Come si cambia per non morire (cit. Fiorella Mannoia).
Trap e Sacchi
C’era tanta amarezza nello sguardo di Trapattoni quando – Italia fuori da Euro 2004 – gli venne comunicato che poteva farsi da parte. Arrigo Sacchi lasciò l’Italia nel novembre del 1996, dopo una sconfitta in amichevole, a Sarajevo contro la Bosnia. Diede le dimissioni e pochi giorni dopo si accordò con il Milan, dove tornava dopo cinque anni di assenza. “Mi ha portato qui il cuore”, disse accolto dagli osanna di Berlusconi. E aggiunse: “Sono tornato a casa”. E infine: Enzo Bearzot arrivò a fine ciclo al Mondiale messicano del 1986. Eliminato agli ottavi dalla Francia, disse soltanto: “Sono il responsabile della disfatta. Ho un contratto fino al 1990 ma si può stracciare anche subito: sono pronto ad andarmene”. Lo presero in parola e gli indicarono l’uscita.