ROMA – Di Rino Gattuso con la divisa della Nazionale esistono centinaia di foto d’archivio, ma questa nuova, da commissario tecnico, è un inedito che lui ammette di avere soltanto sognato: “È un sogno che si avvera, spero di essere all’altezza. Col mio staff sappiamo il lavoro che ci aspetta, ma nella vita di facile non c’è nulla. Sento dire da tanti anni che non c’è talento. I talenti ci sono, bisogna metterli nella condizione migliore per esprimersi al massimo”.
La qualificazione al Mondiale
La concretezza è il dato più evidente del neo ct. Lo scoprirà anche chi non lo conosce, ma intanto se n’è già avuto un consistente assaggio. La questione ineludibile è insita nella sua stessa chiamata. Andare al Mondiale, per l’Italia, dovrebbe essere la normalità e invece è diventata un’impresa e Rino sa di essere stato chiamato per questo: “Dobbiamo andarci: è fondamentale per il nostro movimento. La mentalità conta. Stare fuori dal Mondiale due volte pesa, ma con la paura non si va da nessuna parte. Più dell’emozione ora prevalgono i tanti pensieri e la responsabilità che sento”.
La replica di Gattuso a La Russa
Il suo gusto per la battuta è noto e gli serve per stemperare i toni, per fare un tackle alla polemica, che in Nazionale e in questa specifica fase poco brillante del calcio italiano è sempre dietro l’angolo. Ma col presidente del Senato La Russa, che gli ha sostanzialmente dato dell’inadeguato, il suo è uno slalom elegante. Lo aiuta il tifo dichiarato della seconda carica dello Stato per l’Inter: “Non voglio fare nessuna polemica con lui, spero di fargli cambiare idea. Nel 2005, dopo la finale di Istanbul persa col Milan non è stato un momento facile per me”.
Una famiglia chiamata Nazionale
Poi ci sono i comandamenti del commissario tecnico e la parola magica: famiglia. “Per me contano l’entusiasmo, la voglia di stare insieme, di essere uniti. Ho ben chiaro nella mia testa che cosa serve: creare una famiglia”. E non è vero, ribadisce, che l’Italia abbia smarrito il talento: “Io sono convinto di questo, assolutamente. Abbiamo 4-5 giocatori che nei loro ruoli sono tra i primi 10 al mondo. Non ho esitato un istante ad accettare l’incarico”.
I giovani che si perdono
Certo, il problema della prevalenza degli stranieri in serie A è serio: “La percentuale è diventata di 68 a 32. A livello giovanile è stato fatto un grandissimo lavoro, ma dopo l’Under 19 i giovani si perdono un po’. All’Hajduk Spalato avevo ragazzi del 2005 e 2006, li ho fatti giocare. In questi anni si è detto tanto di me, mi è stata lasciata l’etichetta che avevo da calciatore. Ma io penso che oggi un Gattuso nella mia squadra non lo metterei, con la confusione che facevo in campo. Con cuore e grinta non si resta tanti anni ad allenare. Piuttosto, il calciatore di oggi è diverso, è più professionista rispetto ai miei tempi, ma fa più fatica a fare gruppo. Dovrò lavorare anche su questo col mio staff, che sarà con Bonucci in aggiunta ai 5 componenti soliti. Prandelli, Perrotta, Zambrotta ci daranno una mano per fare crescere i giovani”.
Gattuso: “Il lavoro conta”
Ed è qui che Rino si inorgoglisce: quando lo definiscono un allenatore con poca gloria: “Col Napoli e col Milan mi sono giocato la Champions fino all’ultima giornata e l’ho persa per un punto. E all’Hajduk, che non vince il campionato da 19 anni, mi sono appena giocato il titolo ancora fino all’ultima giornata. Dipende sempre da come vengono scritte le cose. Solo una squadra vince, ma bisogna vedere come uno ha lavorato, se ha fatto crescere i giovani. Penso di avere fatto qualcosa in questi miei 12 anni da allenatore”. Il lavoro del ct è totalmente diverso: “Lo so, quando mi sveglio la mattina, penso subito al calcio, è la mia passione. Vedremo le partite, andremo a parlare coi giocatori, prenderemo aerei e treni”.
L’emozione per la gioia dei genitori
Con Lippi, il suo maestro, ha avuto un dialogo affettuoso: “Quello che mi ha detto non lo posso ripetere. Spero di fare quello che ha fatto Marcello. Di creare quella stessa alchimia nello spogliatoio. Di vedere i calciatori che vengono a Coverciano col sorriso. Quello generazionale non è un problema solo del nostro calcio. Dobbiamo essere noi bravi a interagire coi giovani. I tempi sono cambiati, non possiamo rapportarci con loro come i nostri genitori facevano con noi”. A questo proposito Rino si commuove un po’, solo per un istante: “Sentire i miei genitori emozionarsi per questo mio incarico è stato un momento di gioia”.
Per la tattica è presto: “In questo momento il nostro campionato dice che il 40 per cento delle squadre gioca con la difesa a tre, ma non è questione di moduli, semmai è di mettere i giocatori al posto giusto. La differenza reti del nostro girone, noi meno 1 e la Norvegia più 11, dice che in questo momento bisogna mettere una squadra che stia nella metà campo avversaria”.
Gli infortunati resteranno a Coverciano
La disciplina è il primo comandamento. Gattuso lo dice quasi di sfuggita, ma il principio è chiaro e forte: basta con gli infortuni facili e con le fughe da Coverciano: “I rifiuti delle convocazioni? Bisogna capire il perché. Ma una cosa ho chiesto al presidente e a Gigi: che chi ha un dolorino resti a Coverciano a curarsi: abbiamo fisioterapisti e attrezzature. Se vogliamo essere credibili, chi ha un dolorino deve restare il più possibile, poi se proprio non guarisce torna a casa. Non si possono creare precedenti. Con 50-60 partite a stagione i dolorini i sono inevitabili. Sapete quante partite in meno avrei giocato, se non avessi stretto i denti? Bisogna andare oltre”.
Il messaggio a Chiesa
Lo dirà a settembre alla squadra, e non solo quello: “Dobbiamo creare una famiglia, dirci le cose in faccia. Quando ti senti solo in campo, diventa dura e 90 minuti senza l’aiuto del compagno sono interminabili. Bisogna dire anche cose che qualcuno non vuole sentire. Solo così si cresce”. Intanto ha già fatto i primi colloqui, al telefono: “Vediamo che cosa dice il campionato. 35 giocatori li ho sentiti in queste ore. Chiesa? Bisogna fare parlare il rettangolo e poi si vede, così le porte sono aperte per tutti. A lui l’ho detto, deve trovare una sistemazione e giocare”.
La telefonata con Spalletti
La pressione non può essere un alibi: “No, la pressione te la dà la maglia azzurra. La verità è che la Norvegia, fisicamente, andava 3-4 volte più forte di noi”. Ne ha parlato con Spalletti, rivela: “Ci siamo sentiti, ho stima incredibile di lui. La professionalità e il lavoro che ha fatto Luciano sono importanti. Cambiamenti non se ne possono fare, c’è troppo poco tempo”. Su una cosa, dice infine, sarà intransigente: “Se non vedrò i giocatori andare a mille all’ora. Alcuni li ho allenati, sanno che cosa pretendo. Poi fuori dal campo non sarò sergente di ferro o poliziotto. Ma in allenamento esigo il massimo”.
“Devo entrare nella testa dei giocatori”
C’è spazio anche per la sua Calabria: “Non sono così importante da potere dare lezione di vita. Dico solo che ho avuto un’infanzia bellissima. Quando chiedevo gli occhi e sentivo l’inno, da calciatore, vedevo mia mamma che mi chiamava dal balcone. Della Calabria si parla sempre per cose negative, speriamo di invertire la tendenza. Certo, ha detto bene Mourinho, nessun allenatore è Harry Potter. Entrare nella testa dei giocatori, questo devo fare”. Chiusura su Acerbi, senza nascondere la verità: il discorso Nazionale sembra chiuso: “In questo momento non l’ho chiamato. C’è grande rispetto e stima, ma ho chiamato giocatori più giovani”. È iniziata l’era di Rino Gattuso, ventitreesimo ct della Nazionale. E a giudicare dalle premesse, non dovrebbe esserci spazio per gli equivoci.