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La rivincita di Inzaghi: l’Inter già a casa mentre l’Al-Hilal vola. “Impresa storica”

La vittoria degli arabi contro il City è anche una risposta ai detrattori di Simone a Milano

CHARLOTTE – Parla di “impresa storica” ed è difficile dargli torto. Battendo Guardiola e il suo Manchester City, Simone Inzaghi non ha fatto soltanto il bene dell’Al-Hilal, ma dell’intero Mondiale per club. La vittoria della squadra araba di Riad sul club emiratino di Manchester dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, ciò che già l’exploit delle formazioni brasiliane aveva suggerito: la competizione Fifa in corso negli Stati Uniti è davvero mondiale, non una Champions League balneare.

Il mancato incrocio con l’Inter

Inzaghi avrebbe potuto incontrare l’Inter, che ha allenato fino a un mese fa, in un quarto di finale da batticuore. L’incrocio non ci sarà, e non per colpa sua, che ha fatto ben più del suo dovere. A mancare l’appuntamento sono stati i nerazzurri, sconfitti 2-0 dal Fluminense su un campo quasi impraticabile, mettendo in luce limiti che lo stesso Inzaghi segnalava da tempo: dai giocatori spompati alla necessità di rinforzi. Non è il tipo da “l’avevo detto”, ma l’aveva detto. E anche se non lo ammetterebbe mai – per l’eliminazione dell’Inter è realmente dispiaciuto, soprattutto per i suoi ex giocatori – la vittoria con l’Al-Hilal rappresenta per lui una rivincita sul proprio passato recente.

Tre verità nella rimonta araba

Il successo per 4-3 in rimonta, contro una squadra che nel finale può permettersi di mettere in campo riserve come Aké, Akanji e Rodri, dimostra almeno tre cose. La prima, ovvia: Inzaghi è un grande allenatore. Lo ha sempre detto – e lo ha ribadito anche stavolta – l’avversario di serata, Pep Guardiola. La seconda, più sorprendente: per battere il Manchester City, contro cui aveva perso da tecnico dell’Inter la finale di Istanbul nel 2023, Inzaghi ha dovuto andare in Arabia. È vero che il City di oggi non è quello di allora, ma il dato resta. Il problema, quindi, a Milano non era Inzaghi. Anzi. La terza, logica ma difficile da immaginare solo tre settimane fa: Inzaghi a Riad non è andato soltanto a prendere un sacco di soldi, ma anche ad allenare una squadra di calcio.

“Sì, siamo venuti per soldi”

Il presidente dell’Al-Hilal, che già paga a giocatori e allenatore decine di milioni di euro a stagione ciascuno, ha promesso ricchi premi per il passaggio ai quarti. Dopo la partita, lo spirito dell’avventura araba è stato spiegato con una buona dose di onestà dagli stessi calciatori. “Sì, siamo venuti per soldi – ha detto il brasiliano Renan Lodi – ma abbiamo dimostrato il nostro valore”. E Milinkovic-Savic, ex laziale, decisivo nel convincere Inzaghi a fare le valigie e trasferirsi nel deserto, rivendica: “Ora vediamo se ci criticheranno ancora”. Dopo un risultato così, è difficile dargli torto. Perché sarebbe più onorevole mettersi in tasca i soldi dei qatarioti a Parigi piuttosto che quelli degli arabi a Riad? Se vale per i centrocampisti, non può non valere anche per l’allenatore.

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