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Diogo Jota, pupillo di Klopp e punta universale. L’ultimo post: “Sono fortunato”

L’infanzia in periferia, la nazionale e quel pallone non passato a Ronaldo. Sulla maglia aveva la lettera J: divenne il suo soprannome

Diogo Jota era un giocatore speciale perché non aveva niente di speciale ma sapeva fare tutto, con un piede e con l’altro (preferiva il destro, ma non si notava), di testa anche se non arrivava a un metro e ottanta, con i muscoli anche se non aveva le cosce tornite.

Era perfetto per coprire qualunque mancanza: non è mai stato un titolarissimo, né nel Liverpool né nel Portogallo, ma un posto l’ha sempre trovato perché poteva essere un centravanti di rapina o di rientro, un’ala da contropiede ma anche da dribbling, un esterno sinistro (il suo ruolo preferito) ma anche destro. Klopp lo prese dal Wolverhampton per coprire le spalle al mitico tridente Salah-Firmino-Mané e lui fece le veci di tutti e tre.

Un giocatore che sapeva sostituire tutti

Era uno che sapeva sostituire tutti, dote rara. La qualità più spiccata, poi, era difficile da cogliere, ma Klopp ne andava pazzo: era il più bravo ad animare il pressing e a trasformare con immediatezza in offensiva un’azione di recupero della palla. Era rock & roll, ma non quello che schitarrava. Una batteria, magari.

Sulla maglia Diogo J.

Jota aveva uno di quei nomi portoghesi lunghi che si poteva riassumere in Diogo Silva: per distinguersi dalle frotte di omonimi si tenne l’iniziale del suo secondo nome, José. Jota è come i portoghesi denominano la J, così sul dorso della maglietta c’era scritto semplicemente Diogo J. Cresciuto nel quartiere universitario di Porto, Massarelos, è stato un raro esempio di forte calciatore portoghese estraneo ai grandi vivai: cominciò al Gondomar, alla periferia di Porto, dove il Paços de Ferreira scovò lui e il fratello minore André Silva, che ha avuto una vita diversa (giocava nel Penafiel, seconda divisione portoghese) ma lo stesso destino.

Fonseca lo fece esordire a 18 anni

Fu Paulo Fonseca a farlo esordire diciottenne e Nuno Espírito Santo, il mentore, a battezzarlo titolare. Simeone invece non lo capì: l’Atletico lo prese nel 2016, ma lo girò in prestito al Porto e l’anno dopo lo vendette ai Wolves dove nel frattempo si era insediato proprio Espírito Santo. È sempre costato molto (8 milioni all’Atletico, 14 al Wolverhampton, 45 al Liverpool), ma quei soldi dimostrò di valerli. Klopp dopo un paio d’anni ammise: «È un giocatore molto migliore di quanto pensassi».

Specializzato in triplette

Jota si era specializzato in triplette: ne fece due di seguito in Europa League e una la piazzò pure all’Atalanta, in Champions. Con la maglia del Liverpool segnò 65 reti in 182 partite e nel Portogallo, con il quale ha vinto due Nations League (l’ultima neanche un mese fa), 14 in 49. Molti ricorderanno il memorabile cazziatone che gli fece Ronaldo a Euro 2020 perché contro l’Ungheria tirò in porta invece di passargli la palla, ma poi Diogo diventò essenziale per Cristiano, perché se CR7 voleva andare a sinistra lui si spostava al centro, o viceversa. E pressava per tutti e due. Gli volevano bene perché sapeva rendere protagonisti gli altri, e se capitava a lui di esserlo non si dava arie da fenomeno. Come nel suo ultimo post: «Sono un uomo fortunato»

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