Carlo Ancelotti è stato condannato dal Tribunale provinciale di Madrid a un anno di carcere con la condizionale e al pagamento di una multa di 386.361,93 euro come risarcimento per frode fiscale, per non aver pagato le tasse sui ricavi derivanti dai diritti d’immagine per il 2014, ai tempi della sua prima esperienza da allenatore del Real Madrid. Non potrà inoltre ottenere aiuti pubblici e godere di benefici o incentivi fiscali o previdenziali per tre anni. Non andrà dietro le sbarre, come previsto dalla legge spagnola per qualsiasi pena inferiore a due anni per un reato non violento e per un incensurato. È stato invece assolto da un’accusa simile per fatti del 2015: non è stato dimostrato che l’attuale ct del Brasile abbia trascorso in quell’anno almeno 183 giorni in Spagna, necessari per essere considerato residente. Carlo fu esonerato a maggio (ma il trasferimento fiscale avvenne a ottobre) e passò i mesi successivi tra Londra, l’Italia e il Canada. La Corte, non convinta del tutto, ha applicato in questa circostanza il principio «in dubio pro reo».
Cosa è successo
All’origine del caso la struttura economica usata in quegli anni dal Madrid con i propri dipendenti, che ha costretto tra gli altri Cristiano Ronaldo, Mourinho e Bale a pagare multe salate. Nel processo celebrato il 2 e 3 aprile, in cui Ancelotti ha rifiutato il patteggiamento, la Procura spagnola aveva accusato il tecnico italiano di aver frodato le casse pubbliche per 1.062.079 euro negli anni fiscali 2014 (386.361 euro) e 2015 (675.718 euro), chiedendo per lui quattro anni e nove mesi di carcere, oltre a una multa di 3,1 milioni. I giudici hanno accolto la tesi dell’accusa, secondo cui Ancelotti aveva messo in piedi «un complesso e confuso schema di fideiussioni e società interposte» per nascondere parte del suo stipendio al fisco, una struttura societaria «priva di giustificazione economica per la gestione e il trasferimento dei diritti d’immagine». Nello specifico, le società Vapia Limited e Vapia LLP (con sede fuori dalla Spagna) erano prive di «rischio d’impresa» o di «locali, dipendenti e uffici». Si dedicavano solo a «incanalare la gestione e la riscossione dei diritti d’immagine di Ancelotti, senza fornire servizi a terzi». Da qui la condanna.
La difesa di Ancelotti
Carletto aveva testimoniato in aula raccontando la sua verità: «Non ho mai avuto alcuna intenzione di frodare il fisco spagnolo, mai», le sue parole ad aprile. E ancora: «Quando firmai con il Real chiesi sei milioni di stipendio. Per il pagamento il club mi propose una struttura 85-15, ovvero il versamento del 15 per cento dei miei emolumenti come diritti d’immagine, una modalità all’epoca utilizzata per tanti giocatori e anche per Mourinho. Accettai, mettendo in contatto i miei commercialisti con quelli del club. Poi non ho saputo più nulla fino al 2018, quando mi hanno detto che c’era un problema. Volevo solo incassare i 6 milioni, mi sono fidato». Il tribunale ha applicato la pena minima.