MILANO – Si è tornati a parlarne per il caso di Ederson, centrocampista dell’Atalanta: se un altro club italiano dovesse acquistare il suo cartellino e metterlo sotto contratto, il calciatore – e quindi, indirettamente, chi gli paga lo stipendio – potrebbe beneficiare degli sgravi fiscali previsti dal Decreto Crescita. Ma cosa rimane del provvedimento che animava i discorsi sul calcio ormai sei anni (e quattro governi) fa? E in quale misura continua a produrre effetti sul mondo del pallone?
Il Decreto Crescita: origine e applicazione
Dal 2019 il mondo del calcio ha fatto largo uso del cosiddetto Decreto Crescita, nato per incentivare il “rientro dei cervelli” dall’estero e, più in generale, il ritorno in Italia di lavoratori qualificati che hanno trascorso almeno due anni in un altro Paese. Presto la norma ha trovato applicazione anche nel calcio professionistico, offrendo vantaggi fiscali che hanno cambiato le strategie di mercato dei club.
Cosa prevede il provvedimento per i lavoratori
L’articolo 34 del Decreto Legge n. 34 del 2019, poi convertito nella Legge n. 58, prevede che chi trasferisce la residenza fiscale in Italia dopo due anni all’estero possa ottenere uno sconto sul reddito imponibile: il 70 per cento nel Centro-Nord, il 90 per cento nel Mezzogiorno. Il beneficio si applica sia ai cittadini italiani che rientrano dall’estero, sia agli stranieri che in Italia non hanno mai lavorato.
L’estensione a calciatori e allenatori
Pochi mesi dopo la sua introduzione, il decreto è stato esteso anche agli sportivi professionisti, che fossero atleti o allenatori. Per i calciatori stranieri, il 50 per cento dell’ingaggio era escluso dalla base Irpef. Sul lordo era inoltre applicato un contributo dello 0,5 per cento destinato ai settori giovanili, secondo il criterio di mutualità sportiva. Il risparmio fiscale ha spinto numerosi club ad approfittarne per attrarre giocatori dall’estero.
Modifiche dopo i flop della Nazionale
Nella stagione 2022/23, in seguito alle mancate qualificazioni della Nazionale ai Mondiali invernali in Qatar, il Governo ha modificato la norma. Da quel momento, le agevolazioni si sono limitate ai calciatori con almeno 20 anni e stipendi pari o superiori al milione di euro, escludendo i giovani dei vivai: in questo modo si è cercato di tutelare il “prodotto locale” rispetto ai giovani calciatori d’importazione.
L’abolizione nel 2024 (tranne che per pochi)
Con la Legge Finanziaria firmata dal Governo Meloni, a partire dal calciomercato invernale 2023/24 il Decreto Crescita è stato abolito per i nuovi contratti. Da gennaio 2024 in avanti, i club non possono più beneficiare delle agevolazioni. Tuttavia, chi aveva già sottoscritto un contratto agevolato può continuare a usufruirne, purché rispetti alcune condizioni. La principale: residenza fiscale mantenuta in Italia per almeno un anno e mezzo più un giorno. La durata ordinaria di due anni può essere estesa a cinque con l’acquisto di un immobile e a dieci anni in caso di figli con cittadinanza italiana.
I casi di chi ne usufruisce ancora
Tra i calciatori che godono tuttora del regime agevolato figurano Benjamin Pavard, Romelu Lukaku, Marcus Thuram, Christian Pulisic, Moise Kean, Tammy Abraham, Mike Maignan. Fra gli allenatori, rientra tra coloro che possono accedere ai benefici anche per la stagione 2025/26 Thiago Motta, oggi svincolato, ex tecnico della Juventus.
Le altre misure previste dal decreto
Oltre al calcio, il Decreto Crescita ha introdotto misure per sostenere l’economia: incentivi agli investimenti, tutela del Made in Italy, interventi per situazioni di crisi e sconti fiscali per imprese e lavoratori autonomi, in parte ancora in vigore e in parte superati da nuovi provvedimenti. Tuttavia, è soprattutto per l’impatto avuto sul mercato calcistico che la norma è entrata nel dibattito pubblico.