MILANO — La porta non parla più italiano: sette delle prime dieci squadre dell’ultimo campionato schiereranno al via della prossima serie A un portiere straniero. Sorpasso effettuato e consolidato. Quest’estate è crollato anche il fortino del Napoli, che ha affiancato Milinkovic a Meret, il numero uno dei due scudetti. Ma Conte stravede per il serbo, pagato 20 milioni da De Laurentiis al Torino: avrà tanto spazio, fin da subito. I numeri sono leggermente meno impietosi se si allarga il quadro a tutte le venti squadre di A: sono dieci i numeri uno stranieri, esattamente la metà. Ma la tendenza è evidente: nel 1995/96 c’erano 18 italiani titolari su 18, nel 2005/06 16 su 20, nel 2010/11 12 su 20. Un’erosione lenta ma inesorabile.
I portieri stranieri in serie A
Al netto del Napoli, l’Inter ha trovato nello svizzero Sommer un portiere affidabile, seppur non più giovanissimo: è arrivato dal Bayern Monaco a 34 anni suonati, ma ha saputo esaltarsi nelle due stagioni in nerazzurro (è anche tra i finalisti del Premio Yashin, insieme a Donnarumma). Il Milan non ha vissuto un’annata facile, e ne ha risentito pure Maignan. Nonostante questo, Allegri appena è tornato ha preteso la conferma del capitano francese, lui e Leao inamovibili. Il serbo Svilar si è saputo prendere la Roma, di cui è diventato con il rinnovo firmato a luglio — contratto fino al 2030 a 4 milioni a stagione — il portiere più pagato della storia. Insostituibile, un po’ come lo spagnolo De Gea, che a Firenze sta vivendo una seconda giovinezza. Skorupski è in Italia dal 2013, al Bologna dal 2018: porta avanti la tradizione della scuola polacca, che vanta in Szczesny il miglior esponente. L’ambizioso Como di Fabregas ha invece dato ancora fiducia al francese Butez, pescato a gennaio dai belgi dell’Anversa. Nella top 10 resistono quindi solo gli azzurri Carnesecchi (Atalanta), Di Gregorio (Juventus) e Provedel (Lazio), che pure deve guardarsi le spalle dal greco Mandas.
La grande tradizione dei portieri italiani
Il calcio è cambiato, un discorso valido per ogni reparto. Ma in porta fa più effetto, perché dell’arte del parare gli italiani sono sempre stati maestri. La scuola azzurra ha prodotto tra gli altri Albertosi, Sarti, Zoff, Zenga, Buffon, Donnarumma. La geografia dei portieri si è spostata verso il Sud America: Brasile, Argentina e non solo. La costruzione dal basso ha fatto il resto. Oggi a chi è tra i pali si chiede di saper giocare il pallone, impostare l’azione, essere prima fonte di gioco capace di eludere il pressing avversario. Gli italiani sono meno bravi in questa nuova veste? Non necessariamente. Il paradosso, infatti, è che primo e secondo della Nazionale giocano all’estero: Vicario è pronto a iniziare la seconda stagione al Tottenham, dove ha vinto l’Europa League, Donnarumma al Psg è stato tra i protagonisti del trionfo in Champions League.
Il futuro incerto di Donnarumma
Gigio è tra i 30 finalisti del Pallone d’oro, unico italiano in lista, ma manca dalla serie A dal 2021, anno dell’addio al Milan. Non sta neanche vivendo un momento semplice, il Psg ha speso 40 milioni per Chevalier, che dovrebbe essere il suo secondo, e Donnarumma ha il contratto in scadenza tra un anno. Ma pure dovesse andare via, difficilmente rientrerebbe in Italia. Sono lontani gli anni 2000, quando regnava l’abbondanza e gente come Roma e Cudicini era costretta ad emigrare per cercare spazio: il primo sfiorò la Champions con il Monaco (perse nel 2004 la finale contro il Porto di Mourinho), il secondo si affermò al Chelsea di Vialli, Zola e Ranieri, tanto che la rivista FourFourTwo lo ha eletto sesto portiere di sempre in Premier League, con 64 clean sheet in 161 gare. Oggi tutto è diverso. A fuggire sono i migliori, in Italia regna lo straniero. Anche tra i pali.