Trent’anni esatti di maglie personalizzate, tre decenni in cui il massimo dei voti a scuola e in campo (10) ha cambiato storia ma non senso, e neppure sentimento. Perché 10 vuol sempre dire fantasia, vuol dire tocco e campione. E se l’evoluzione delle tattiche racconta che quasi nessuno, ormai, gioca con il trequartista dietro le punte, il carisma del numero che fu di Pelé e Maradona, Rivera e Roberto Baggio, Zico e Del Piero, Zola e Mancini, permane intatto. Se hai classe e visione, allora sei un 10 anche se il 10 forse non c’è più.
Napoli, Sosa l’ultimo 10
Trent’anni fa, stagione 1995/96, il giovane Totti alla Roma prese il 20 perché il 10 l’aveva Giannini, detto il Principe. E Roberto Baggio al Milan indossò il 18 perché il 10 era di Savicevic. In quella remota stagione del calcio e della memoria, un bel 10 rotondo spettò a Del Piero, Mancini, Rui Costa e Zola, interpreti perfetti del ruolo. Identificazione vuol dire identità. E se tutti ancora oggi vorrebbero il 10, qualcuno proprio non può averlo: bisogna dimenticarlo se si gioca nella Roma (Dybala ha il 21, come nella Juve all’inizio, prima di fare cifra tonda), e ancora di più se si gioca nel Napoli: la maglia di Maradona, veramente, non fu mai ritirata in via ufficiale, però l’ultimo a indossarla fu Sosa quando il Napoli salì dalla C alla B. Poi, la casacca più gloriosa scomparve.
Inter, numeri 10 con alterne fortune
La Juve non ritirò il 10 dopo Platini, e un giorno passò a Del Piero. Una maglia dal destino incerto: Pogba, che non era un 10 tradizionale, la indossò in un secondo tempo e poi se ne andò. Anche Dybala non è durato molto, con addosso il 10 della Juve (lo diedero pura a Tevez, che 10 non era ma grande giocatore sì). Ora quel simbolo, perché di questo si tratta, appartiene a Yildiz e lui lo calza bene. Il turco, insieme a Leao e Lautaro, sono i 10 delle big. Nell’Inter, dopo Baggio e Ronaldo il 10 lo hanno portato con alterne fortune Seedorf, Morfeo, Dalmat, Adriano, Snejider nella stagione del triplete, Kovatic, Joao Mario e adesso Lautaro: pochi, tra loro, i 10 classici. Il 10 che nel Bologna fu di Baggio e poi di Signori, adesso è di Bernardeschi: senza offesa, un’altra storia.
Ronaldo e il 10 per stupire i falsari
Il panorama della serie A, dove il 10 è assegnato in 15 club su 20, è tutto sommato di media suggestione. Delle grandi abbiamo detto. Le altre hanno fatto scelte proporzionate a rose, nomi e possibilità. Nell’Atalanta, il 10 è del serbo naturalizzato tedesco Samardzic, nella Fiorentina è di un islandese, Gudmundsson. Il 10 del Genoa, Messias, è cresciuto nel calcio della Uisp, e si dice un gran bene del 10 del Parma, lo spagnolo Adrian Bernabè. Il 10 del Como è quel Cutrone annunciato non pochi anni fa come una promessa, non proprio mantenuta. Il 10 del Sassuolo è il sempiterno Berardi, che finirà di sposare quella squadra per la vita. E se in passato il 10 richiedeva sempre un personaggio, oggi può toccare a calciatori non proprio sulla bocca di tutti, come l’ivoriano N’Dri (Lecce) o il senegalese Niasse (Verona). Ma 10 si può sempre diventare. Anche Ronaldo il fenomeno ebbe all’Inter la maglia più nobile, ma solo perché l’industria dei falsi era già pronta a lanciare sul mercato decine di migliaia di maglie fasulle con il numero 9, e il suo cognome sopra. Ronaldo sorprese tutti in contropiede, sua meravigliosa specialità.