Estate insolita per Roberto Gagliardini. A 31 anni, il centrocampista bergamasco è in attesa di una nuova squadra dopo due stagioni al Monza, ma non perde il ritmo: «Mi alleno come se fossi in ritiro, forse anche di più». Niente vacanze lunghe, niente certezze sul futuro, ma la serenità di chi ha radici solide: «Bergamo sarà sempre casa mia». Poi c’è la scelta controcorrente: poco social. «Preferisco parlare con i compagni, non con un telefono».
Come stai vivendo quest’estate senza squadra?
«È un’esperienza nuova. Tengo aperte tutte le porte, sia in Italia che all’estero. Non ho mai vissuto un’attesa così. Mi alleno come se fossi in ritiro, forse anche di più. Da quel punto di vista sono sereno e soddisfatto. Mi manca però la bellezza del ritiro, lo spogliatoio, gli scherzi, le prese in giro: sono le cose che renderanno sempre unico il calcio».
A Bergamo sei nato e resta la tua casa. Quanto conta il legame con la tua città?
«Tantissimo. Bergamo sarà sempre la mia sede ufficiale. Qui ho casa, famiglia, amici, i nonni, e anche qualche attività come l’enoteca. Sia io che mia moglie siamo di qui, i bambini crescono qui. Non vedo motivi per cambiare o scoprire altri posti per viverci stabilmente».
Anche la tua carriera ti ha tenuto spesso vicino a casa.
«Sì. Dopo le giovanili nell’Atalanta, sono stato in prestito a Siena, Vicenza, Spezia. Poi sono tornato a Bergamo, e da lì è arrivato il trasferimento all’Inter. Anche in Serie B restavo comunque a distanze contenute».
Con Gasperini in panchina sei esploso. Dopo pochi mesi il passaggio all’Inter. Troppo presto?
«No, per me no. Siamo tutti ambiziosi e cerchiamo di arrivare al massimo livello possibile. Quando si è presentata la possibilità di andare all’Inter non ci ho pensato due volte. È successo tutto in fretta, forse non mi rendevo nemmeno conto del salto che stavo facendo. Mi sono ritrovato in un mondo completamente diverso e di altissimo livello. Mister Pioli e i compagni mi hanno fatto sentire subito a casa».
Come valuti i sei anni all’Inter?
«Sono stati anni intensi, pieni di emozioni, sia positive che negative. Quando sono arrivato l’obiettivo era il quarto posto e non ci siamo riusciti subito. Con Spalletti abbiamo centrato due qualificazioni in Champions all’ultima giornata. Vivere quelle partite ti fa crescere: vivi pressioni importanti, vieni criticato quando le cose vanno male e osannato quando vanno bene. L’importante è mantenere l’equilibrio, e la mia famiglia mi ha aiutato molto».
Come hai gestito le critiche?
«Due anni fa, quando ero a Monza, mi sono molto distaccato da Instagram. È un mondo che non mi piace e la trovo una vera perdita di tempo. Leggere certi commenti negativi in un momento in cui le cose non vanno, può influenzarti. Per me l’unico antidoto era allenarmi: in campo e in palestra. I social possono essere utili per lavoro o attività, ma io non sopporto chi passa il tempo a parlare davanti a un telefono. Preferisco lo spogliatoio di una volta, con partite a carte e chiacchiere».
Al Monza che ambiente hai trovato?
«Uno spogliatoio poco social, e per me è stato un bene. Nei ritiri si stava insieme, si giocava a carte. Io il pensiero di finire di mangiare e chiudermi in camera col telefono non lo concepisco. Quelle sono le cose più belle, che ti rimangono».
Hai lavorato con allenatori di altissimo livello: Pioli, Spalletti, Conte, Inzaghi. Chi ti ha lasciato di più?
«Tutti mi hanno dato qualcosa. Se devo fare un nome, dico Conte: mi ha trasmesso una mentalità vincente e completamente nuova. È stato il primo a farmi vincere. Anche con Inzaghi abbiamo vinto molto, pur giocando meno. A livello umano mi sono trovato bene con tutti».
Gasperini adesso è alla Roma: che effetto ti fa?
«A Bergamo ha fatto qualcosa di unico, forse irripetibile. Ha portato l’Atalanta a lottare con le grandi del calcio mondiale. A Roma avrà più pressione, ma la sua mentalità non cambierà. Sono curioso di vedere come andrà».
La Nazionale?
«Per me resta un sogno e un orgoglio. Sono stato convocato da Ventura e poi da Mancini, nel periodo pre-Europeo. La nazionale non si rifiuta mai. Quando sono stato chiamato ho sempre cercato di dare il mio contributo».
Ha aperto una scuola calcio per persone con disabilità. Come mai questa attenzione?
«E’ stata una cosa che abbiamo voluto fare con mia moglie, dopo che un amico ci aveva presentato il progetto della Onlus Insuperabili. Per il nostro matrimonio invece della lista nozze abbiamo voluto destinare tutti i regali, a loro. A Dalmine, dove abito, non esisteva ancora una sede e l’abbiamo aperta noi. Quando posso vado a trovare i ragazzi: vedere la loro passione è una lezione per chi, come me, ha avuto la fortuna di vivere il calcio ad alto livello».
Chi è il tuo migliore amico nel calcio?
«Salvatore D’Elia, conosciuto a Vicenza. Ci vediamo ancora, anche con le famiglie. Sono questi i rapporti che restano».