PISA – Nerazzurri contro bianconeri, per due volte in nemmeno ventiquattrore. Domenica Juan Cuadrado, da giocatore del Pisa, affronterà in casa l’Udinese. Intanto, domani alle 18 sarà davanti alla tv a tifare Juventus contro l’Inter. “Sono e sarò sempre juventino, non cambierò mai squadra. Per lo scudetto, vedo ancora favorite Inter e Napoli, poi la Roma. Ma allo Stadium può succedere di tutto. La Juve ha giocatori nuovi, un nuovo progetto, e la forza del proprio stadio”.
Sua madre e sua sorella vivono ancora a Torino?
“Sì e sono super juventine”.
Lei con i tifosi bianconeri ha fatto pace, dopo il passaggio all’Inter?
“Con loro non ho mai fatto la guerra, anzi. Allo Stadium da avversario entro sempre con enorme rispetto, per il luogo e per le persone che lo fanno vivere. Alcuni mi fischiano per le scelte che ho fatto, ma per strada in città tutti mi trattano bene. Sono contento di quello che ho vissuto in bianconero, penso di avere fatto bene, e sono tranquillo con me stesso. Il calcio è così”.
Alla festa scudetto dell’Inter lei ha anche saltellato al coro “chi non salta è bianconero”. Lo rifarebbe?
“Non ho saltato, ho mosso un po’ la testa a ritmo, per istinto. Comunque, a potere tornare indietro non lo rifarei. Non è stato un bel gesto, mi sono lasciato prendere dal momento, senza pensare”.
Dopo Inter e Atalanta, ora il Pisa. Un bianconero come lei si trova a vestire tre maglie nerazzurre di fila…“È una coincidenza che mi fa sorridere. A questo punto, prima del ritiro mi tocca giocare nei Millionarios in Colombia, nerazzurri anche loro”.
Alla Juventus lasciò la maglia numero 7 a Ronaldo. Fu una decisione solo sua, o qualcuno le chiese di farlo?
“Un’idea mia al cento per cento. Ho pensato che potesse fargli piacere. Io sono molto credente e mi riconosco in una massima: la benedizione è nel dare, più che nel ricevere. Cristiano ha apprezzato, mi ha ringraziato. Oggi siamo amici”.
“Panita”, il suo soprannome, significa proprio amico. Qual è il compagno degli anni juventini a cui è più legato?
“Più di tutti, Dybala, Danilo, Alex Sandro e Pogba. Finalmente Paul è contento, dopo quello che ha passato. Ha voglia di ricominciare, si sta preparando, è stato molto tempo fermo. Non è facile rientrare ad altissimi livelli”.
E all’Inter, a chi si è più legato?
“Dumfries, Calhanoglu, Thuram. Ma un po’ tutti. Ovunque vado cerco di creare legami forti coi compagni, e di fare amicizia”.
Dopo l’Atalanta, la cercavano anche in Liga, ma ha scelto di nuovo la Serie A. Come mai?
“Ormai è casa mia. Sono diventato anche cittadino italiano e devo molto all’Italia. I miei figli sono nati qui, si definiscono italiani e lo sono!”.
Fra Milano e Bergamo, ha attraversato due anni difficili dal punto di vista fisico. A Pisa cerca una nuova giovinezza?
“È stato difficile superare l’infortunio al tendine d’Achille. Grazie a dio, sono sempre stato un calciatore che non si fa spesso male e non ero abituato. Sto lavorando tanto per recuperare, i 37 anni non mi pesano. Mi sento all’80 per cento e posso migliorare”.
La prossima gara la giocherete contro l’Udinese, per lei non sarà mai una partita normale …“Dalla Colombia sono arrivato subito a Udine. Sono molto orgoglioso di quello che ho fatto lì. Li ho visti vincere alla seconda di campionato a San Siro contro l’Inter. Sarà dura per noi”.
Contro la Fiorentina potrebbe giocare la sua 400esima partita in Serie A. Che emozioni prova?
“È un traguardo importante, ma spero di potere arrivare a 500 e lo dico sul serio. Mi sento bene, ho ancora voglia di giocare tanto”.
Lei sorride sempre?
“Cerco di farlo, anche quando le cose non vanno bene, e sembra difficile tenersi in equilibrio. Il calcio mi aiuta molto. Svegliarsi ogni mattina facendo quel che ti piace è una benedizione”.
Lei ha fama di simulatore. Qualcosa di vero c’è?
“Se cado è perché mi hanno toccato o mi spingono, ma ormai so di avere questa nomea. Ormai non mi fischiano nemmeno falli solari, e mi fa arrabbiare. Per fortuna negli episodi difficili il Var che dà una mano all’arbitro. Io devo solo cercare di stare in piedi, e nel caso protestare con garbo”.
Gilardino lo ha incontrato come avversario. Che effetto le fa trovarlo come allenatore?
“Fino a pochi anni fa ha giocato, capisce i momenti e gli stati d’animo di noi calciatori. Sa come si stente chi gioca meno, chi non riesce ad allenarsi come vorrebbe, chi è tormentato dagli infortuni. Per noi è un vantaggio”.
Sua moglie e i suoi figli sono con lei a Pisa?
“Certo, mi seguono ovunque. I bambini non hanno ancora visto la torre che pende, ma presto li porterò. Io e mia moglie ci siamo già stati”.
Come ha conosciuto sua moglie?
“È successo in Colombia. Ci siamo incontrati in un negozio di vestiti in cui entrambi stavamo facendo shopping. Melissa è appassionata di moda”.
Lei ha anche una sua etichetta di abbigliamento. Che effetto le ha fatto la morte di Armani?
“Ora il brand Juan Cuadrado lo gestisce mia madre, io ho capito di non avere tempo. Armani fatto tanto per la moda e per tutta l’Italia, è stato un gigante nel suo campo. Quando muoiono persone così è un dispiacere per tutti”.
Se suo papà fosse ancora vivo, cosa vorrebbe dirgli?
“Che mi è mancato in tutti questi anni. Sarebbe bellissimo presentargli i miei figli, che hanno l’età che avevo io quando lui è morto. Ero davvero troppo piccolo, ho pochissimi ricordi. Diventando padre ho capito cosa dev’essere un papà: un uomo che protegge e che ti dà valore. Crescere senza padre sicuramente mi ha fatto perdere qualcosa, ma per fortuna mia mamma, una guerriera, ha fatto da madre e da padre, e sono fiero di lei. Sono sicuro che anche lui sarebbe fiero di lei e di come mi ha cresciuto”.
I suoi figli hanno un’infanzia molto diversa da quella che ha avuto Lei… come si fa a insegnare a bambini che hanno tutto l’importanza dell’impegno?
“Mia moglie e io cerchiamo di passare ai bambini l’idea che tutto va guadagnato e nulla è facile. Cerco di raccontare loro quello che ho vissuto, la difficoltà di non avere cibo, la necessità di lavorare per aiutare mamma, fin da piccolo, la casa in cui mancava tutto tranne i sogni. E il fatto che li puoi raggiungere, con la passione e l’amore per il lavoro. I nostri figli hanno la possibilità di avere tante cose materiali. Ma le cose materiali non contano, contano i valori. La vera ricchezza è essere persone per bene”.
È vero che sua nonna da bambino la legava per evitare che scappasse di casa per andare a giocare a calcio?
“Diciamo che mi impediva di muovermi, ma non le servivano corde, le bastava la parola. Mi minacciava di tenermi lontano dal pallone per un’ora o due, e questo bastava per convincermi a fare qualsiasi cosa”.
Come vede la Nazionale di Gattuso?
“Molto molto bene. Abbiamo tantissimo talento in Italia. Non sono d’accordo con chi dice che a questa nazionale manca qualità. Il mister è un grandissimo. La partita con Israele è stata confusionaria, era difficile capirci qualcosa, ma alla fine il risultato è arrivato. Abbiamo tutto per andare al Mondiale”.
Per lei, che a giugno avrà compiuto 38 anni, potrebbe essere l’ultima occasione per giocare nella sua Colombia in un torneo internazionale.“Sta a me dimostrare di meritarmi il sogno di giocare ancora con la nazionale. Il ct guarderà le partite del Pisa, quindi dovrò me dimostrare quanto ancora valgo e quale apporto posso dare alla squadra. Metterò tutta l’energia per questo”.
Cosa vorrà fare quando avrà finito con il calcio giocato?
“Ho una fondazione per bambini senza possibilità economiche in Colombia, con scuola di calcio, teatro e musica. Voglio dedicarmi a loro, allenarli e cercare di insegnare loro qualcosa, aiutandoli a realizzare i loro sogni. Ho ricevuto tanto, e tanto voglio dare”.